Cultura è Salute

Essere medico, saper “toccare il cuore” di ISABELLE FELICIONI

pubblicato il 20 Giugno 2022

Credo che negli ultimi anni si sia perso il reale significato di psichiatra psicologia e psicoterapia. Vorrei portare l’attenzione dei colleghi su quello che per anni ha reso la nostra professione un privilegio: quello di "toccare il cuore " delle persone e che oggi si è trasformato in qualcosa di irriconoscibile. Zona di comfort. Terapie su basi empiriche. Setting da rivedere. Il tutto volto ad un miglioramento della nostra attività che ha come scopo primo ed ultimo ascoltare e aiutare le persone ma non creando rapporti di dipendenza terapeuta paziente. Ma dando al paziente l’opportunità di cogliere le sue skills e metterle in espressione. La psicoterapia deve cambiare: il mondo chiede altro. Una nuova mappa e nuove coordinate.

La nascita di questo articolo è legata, per me, all’imperante impellenza di dar voce ad una quota parte della mia formazione come medico psichiatra ma, allo stesso tempo di ascoltare veramente quello che le persone cercano quando arrivano in uno studio. Pensano di trovarsi di fronte qualcuno che analizzerà ogni singolo movimento, ogni singola parola, uno sguardo, e spesso questo a discapito della libera spontaneità di chiedere un aiuto che spesso è legato a molte cose fuorché ad uno stato psicopatologico di base.

Per anni mi è stato insegnato che un professionista per essere definito tale deve saper dare un Setting al paziente, luogo e ora ben definiti, è necessario compilare un’anamnesi per ricostruire la storia ed escludere malattie in comorbilità. Ed ecco ho usato la prima parola che poco amo: malattia. Come se noi fossimo solo generatori che cadono in panne ed hanno bisogno di essere esaminati, revisionati: chirurgicamente. Ma anche su questo potrei raccontarvi tanti aneddoti: la psichiatria e la chirurgia sono due ambiti che da una vita fanno a botte, un po’ per la diversità dei campi esplorati, un po’ per le similitudini che due persone che si amano e litigano hanno.

E ne ho letto di testi, sono diventata anche io paziente e ho provato su di me, con me e per me cosa significasse stare al di là di quella scrivania o distesi su di un lettino. Da qui è nata l’elaborazione di un mio modo di interagire con le persone. Un modo che mi permettesse di essere un medico attento, ma allo stesso tempo capace di ascoltare.

Non me ne voglia la categoria ma da tempo mi si palesa il fatto che tutto vogliono i medici meno che ascoltare. Toccare. Visitare. Ognuno preso dal proprio settore di appartenenza. A me l’intestino, a te il cuore e a voi i polmoni.

E ho sempre creduto che allo psichiatra fosse richiesto di ricomporre quel puzzle raffigurante un “bambino”.

Non voglio di certo generalizzare così come non vorrei aprire un dibattito sulla professione e sull’etica professionale di un medico che credo, personalmente, dovrebbe spesso rileggere il giuramento. Noi abbiamo giurato e spergiurato forse. Ma non si può recedere da questo “contratto”. Tra i miei appunti e tra le storie dei miei pazienti ho trovato nel tempo un filo conduttore: il loro bisogno di essere toccati. Nel profondo e con le mani. Non hanno cercato in me solo il professionista che spesso ha de-psichiatrizzato perché le emozioni non sono malattie; hanno cercato l’umanità di uno sguardo, di un tocco, di un abbraccio.

Nulla di nuovo neanche qui. Immagino esistano centinaia di libri basati su questo, ma poco mi interessa. Cosi come tanti altri ce ne saranno rispetto alla medicina olistica. Con la quale veramente mettiamo un punto al mondo della scientificità. Il che non significa screditarne la potenzialità anzi, sottolinea l’importanza di una sua collocazione altra che chiamerei spirituale. E innalzerei ad un livello superiore di conoscenza. Fermo restando che non può esserci scienza se non si è ancora in grado di tradurre in formule matematiche l’universo. Se non spieghiamo la natura non possiamo spiegare l’uomo. Quindi non esiste un genio ad oggi, ma tanti geni che dovrebbero cooperare tra loro per scoprire davvero. Ma l’agone non è più quello omerico e Nietzsche aveva ragione! L’essere umano con il tempo ha ristretto le sue vedute in virtù, si fa per dire, di un suo primato sull’altro.

Diversi geni formano i cromosomi e quindi il DNA: esempio di perfetto equilibrio se non interiore, esteriore. Un’elegante doppia elica all’interno della quale singoli geni decidono se mettersi in espressione o meno. E allora subentra il contesto familiare, l’ambiente, gli studi condotti. Ci si dimentica che l’elica esiste cosi come la sua natura. Non l’abbiamo inventata noi. Io non ho l’ambizione di scrivere un saggio su una nuova teoria basata sull’evidenza.

Ho voluto semplicemente ricondurre i diversi approcci terapeutici ad un punto di agonismo sano, dove non fosse necessario che uno avesse la supremazia sull’altro, ma che semplicemente dialogassero per rendere migliore il percorso di cura. Credo in parte a tutto quello che oggi ci viene proposto dalla mindfulness ad una psicologia positiva, dall’amati e rallenta. Sono tutte contraddizioni se calate nel nostro contesto socio-culturale: sono belle scuse messe su per evitare di nuovo di ascoltare e aggiungerei di vedere. Uscire dalla zona di comfort, ma allo stesso tempo nessuno definisce quel comfort che diventa essere uno spazio interpretativo troppo ampio in cui nascondersi.

Ci agganciamo ancora ai traumi infantili per giustificare il nostro comportamento. Pochi sono i bambini che sono stati amati come avrebbero voluto ma è anche vero che subentra poi una intersoggettività per cui una madre e un figlio diventano parte di una diade composta da persone caratterialmente diverse che, a prescindere dai bisogni di base, possono non trovarsi in armonia. E questo non significa non amare. Significa imparare ad accettare le diversità.

(Ma l’immagine del Mulino bianco è indelebile. Peccato che nel frattempo Chernobyl abbia inquinato la terra, lo smog tolto il cielo e l’egoismo sciolto la società. Che oggi, emancipata, si muove per le strade allo stato brado. A chi non piacerebbe trascorrerci una giornata ??)

Abbiamo mangiato troppe merendine e visto troppi cartoni animati!

Siamo molto lontani da quelle idee. Sono le idee ad essere malate. L’anima impoverita e il corpo troppo stimolato. Perché? Perché il mondo propone questo insieme a tanti altri messaggi ambigui. Un grande antropologo diceva che l’ambiguità è caratteristica peculiare della vera opera d’arte. L’ambiguità delle avanguardie dello scorso secolo è la caratteristica che le ha rese immortali e ad oggi ancora non superabili.

Devo dedurne quindi che datata questa confusione forse riusciremo ad essere più consapevoli e cogliere il messaggio geniale dell’ambigua società attuale. Ma mi sono spinta davvero oltre. Apollineo e dionisiaco sono alla base dell’arte greca: la tragedia. Non posso scrivere in ditirambo; scrivo perché tutti possano leggere anche tra le righe quanto di alchemico ci sia nell’intreccio delle tradizioni delle tecniche terapeutiche più conosciute.

Tocco, tatto, contatto, sentire, toccare: l’uomo, la vita, l’anima.

Nella speranza di poter scrivere ancora, confrontandomi con colleghi anche di diverse formazioni, ribadisco che il mio intento è quello di poter riflettere insieme per costruire una nuova mappa. Nuove coordinate per rendere l’essere umano, il paziente, noi stessi più presenti e consapevoli della svolta sociologica che la terra ci si sta proponendo.