Cultura è Salute

“Diamoci una mano”: dialoghi tra storia, arte, medicina e tocchi
di ISABELLE FELICIONI

Continuando il nostro percorso sul tocco e sulla necessità di ristabilire connessioni, vi racconterò qualcosa sulla mano. Mi verrebbe da dire che: 

IL GIOCO NON È RISPETTARE LE REGOLE MA TRASGREDIRE I DIVIETI

“Crediamo di suonare degli organi normali, suonando l’Uomo”. Ma “occorre sapere dove sono i tasti.” B. Pascal.

Chi opera nel sociale che esso sia socio-sanitario o pedagogico-educativo oltre alla propria esperienza offre una forma di comunicazione primordiale fatta di conoscenza, saggezza, amore e compassione intesa come partecipazione. Opera attraverso e grazie a diversi strumenti, il meno riconosciuto ma più inconsciamente usato è il tatto.
“Il Mondo come esperienza si fonda sulla parola base Io-Tu, quella che produce il mondo della relazione.” Basta un dito per creare uno scambio di sensazioni e di emozioni reciproche: quelle ad oggi forse diventate a noi meno conosciute sebbene la tecnologia sia corsa in nostro aiuto grazie a dispositivi “hi tech”.

La medicina ha perso di umanità. Medicina che continua ad essere un’arte “fatta a mano” ma che ha trasformato il tocco in una macchina che digitalizza le esperienze emotive e le traduce in file multimediali utili ad un sapere scientifico non capace però di guarire.
E se guarire significa (var: guardare proteggere) far tornare sano e non porre rimedio, è necessaria una relazione tra terapeuta e paziente, una collaborazione e un pieno impegno a trasformare sé stessi, a scoprire le proprie risorse inutilizzate.

Il tatto così come aiuta il bambino ad entrare in contatto con il “mondo delle cose” può aiutare l’adulto ad entrare in contatto con il “mondo delle idee” e diventare consapevole, stimolando nel primo un processo di crescita nel secondo un processo di traslazione dall’identificazione all’individuazione e quindi di “autoguarigione”. Tutto nasce nella notte dei tempi dove colui che curava non curava un corpo. Ma curava un’anima racchiusa in un corpo”, riattivava il flusso di “qi”, rafforzava il “prana”, riallineava i “chakra”. Ristabiliva una forte connessione tra mente e cervello.
Connessioni. (Hi touch “ogni volta che una nuova tecnologia viene introdotta nella società, ci deve essere il contrappeso di una spinta umana che ristabilisca un equilibrio, altrimenti viene respinta. E più la tecnologia avanza, più l’uomo ha bisogno di recuperare la dolcezza del tocco della mano”. (J. Naisbitt). E così l’hi tech torna nell’hi touch).

La medicina si riappropria di una sensibilità quasi perduta dietro scoperte futuristiche ma che almeno in ambito psichiatrico non portano a risultati scientificamente validi per definire una persona guarita. E anche qui si sono persi i confini tra ciò che è sano da ciò che è malato. Tutto volto ad una catalogazione di sintomi, malattie, sindromi. Un sistema numerico dove di matematico c’è davvero ben poco.
La medicina non è una scienza esatta: 1+1 non fa sempre 2. E questo crea innumerevoli problemi. Pur apparentemente estraneo alla mentalità attuale, si deve a questo “principio” se negli ultimi anni l’uomo ha riscoperto antiche arti tradizionali di guarigione, alcune delle quali vengono rielaborate alla luce delle odierne conoscenze medico-scientifiche.
Perché la mano è il soggetto e l’oggetto da cui indipendentemente dalla volontà traspaiono le emozioni: la mano che dà e riceve affetto, la mano che mostre e incute paura, la mano che dà e chiede conforto e protezione.

L’uomo ha bisogno di PRESENZA. Galimberti descrive sapientemente come l’uomo se distaccato dal gruppo dopo pochi giorni muore. Aristotele stesso parlava dell’uomo come “ton zoon politicon”.
Un dito connette il sacro all’umano nella storia dell’arte.
La mano è qualcosa di speciale. Attraverso la mano e la pelle passa molto di noi. Il tatto non tradisce mai. La mano parla di noi. La mano è il prolungamento del cuore.
È qualsivoglia esperienza si voglia fare con l’altro è necessario “tatto”.