Cultura è Salute

L’importanza della mindfulness per la salute mentale di MASSIMO LANZARO

13 Dicembre 2022

Mindfulness

Con mindfulness (traducibile con consapevolezza di sé oppure piena coscienza) s’intende un’attitudine che si coltiva attraverso una pratica sviluppata a partire dai precetti del buddismo (ma scevra da qualsiasi componente religiosa) e volta a portare l’attenzione del soggetto in maniera non giudicante verso il momento presente. Diversi protocolli di trattamento psicologico basati su tale tecnica meditativa sono stati sviluppati e validati in ambito clinico, dove hanno mostrato benefici significativi per il trattamento di diverse patologie psicologiche e anche il miglioramento di molti parametri ematici, ad esempio quelli legati a patologie infiammatorie; significativi miglioramenti nella percezione di benessere fisico e mentale, creatività, parametri ematici sono stati dimostrati anche in soggetti sani che praticano la tecnica.

Il modello biopsicosociale

Oggi c’è un consenso pressochè unanime nell’adottare quale modello esplicativo della patogenesi dei disturbi mentali la teoria stress-vulnerabilità-(appraisal)-coping-(resilienza), sia perché più congruente con l’attuale stato delle conoscenze sia perché più operativamente utile.

La vulnerabilità va intesa come una predisposizione congenita, in parte ereditaria e in parte acquisita, probabilmente associata ad anomalie del metabolismo di alcuni neurotrasmettitori; tale predisposizione interagisce con fattori psicologici quali la personalità intesa come capacità di risposte cognitive individuali ad un evento biologico o sociale acquisita sulla base delle esperienze pregresse.

Tale interazione determina una specifica soglia di vulnerabilità di base, che se superata in seguito ad eventi stressanti, dà origine all’episodio di sofferenza psicologica. In altri termini lo stress legato ad eventi acuti ed improvvisi, i cosiddetti eventi di vita (life events) è stato associato all’insorgere di molteplici disturbi psichiatrici, quali la depressione, la psicosi, la mania, e i disturbi di ansia. In maniera un po’ semplicistica, è abbastanza intuitivo dunque che qualsiasi tecnica in grado di ridurre i livelli di stress, come appunto la mindfulness, riduce la probabilità di sviluppare una sofferenza mentale.

Sono importanti anche le capacità di coping del soggetto determinate da specifiche attitudini psichiche quali le modalità personali e interpersonali di attribuzione di significato agli eventi e la percezione della propria capacità di far fronte alle conseguenze. Scopo ed effetto del trattamento mindfulness sarà quello di innalzare tale soglia di vulnerabilità e/o di diminuire lo stress connesso alla situazione esistenziale del paziente.

La parola “stress” è stata usata per la prima volta e resa popolare, con il significato attuale, dal patologo sperimentale magiaro-canadese Hans Selye. Sia Cannon che Selye hanno utilizzato la legge di Hook dell’elasticità, inserendo in biologia, in modo euristico e creativo, concetti estrapolati dalla fisica.

Lo stress contribuisce in modo rilevante allo sviluppo di condizioni patologiche, fisiche e psicosociali, negli esseri umani (“str” esercizio di pressione). Il greco “strangalizein” e il suo derivato inglese e sinonimo “to strangle” (strangolare), analogamente al latino “stringere” (stringere), hanno le loro origini in un passato molto lontano.

l programma di riduzione dello stress basato sulla mindfulness (mindfulness-based stress reduction, MBSR) è un programma che utilizza la mindfulness per aiutare persone che soffrono di un insieme di condizioni e di problemi esistenziali che in passato stentavano a trovare adeguato trattamento in ambito ospedaliero. Sviluppata presso il centro medico dell’Università del Massachusetts negli anni ‘70 dal professor Jon Kabat-Zinn, la MBSR usa una combinazione di meditazione e yoga per guidare i praticanti verso una maggiore consapevolezza.

La pratica MBSR si propone anche di mitigare gli effetti nocivi dello stress cronico, in particolare riconoscendo i casi di attivazione (per lo più non necessari, nella nostra esperienza quotidiana) del meccanismo della reazione di attacco o fuga o della disregolazione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene.

L’ESEMPIO DELLA MINDFULNESS APPLICATA ALLA CREATIVITÀ

La fotografia mindfulness

Istinto, conoscenza tecnica e consapevolezza (mindfulness). La fotografia contempla tutte queste componenti che talvolta guidano singolarmente il fotografo per una vita intera; in altri casi si avvicendano o si mescolano, modellando lo sguardo del singolo individuo. Per questo motivo i fotografi non sono tutti uguali.

L’istinto, la componente umana più oscura e imprevedibile, è spesso foriero di scoperte e geniali innovazioni. Eppure lo scatto istintivo per qualcuno rappresenta solo un punto di partenza obbligato prima di sviluppare un approccio più tecnico e consapevole al mezzo, mentre per altri è un vero e proprio modus operandi distintivo della propria ricerca, all’insegna della libertà e dell’imprevedibilità dell’esperienza visiva.

Il prevalere di ognuna di queste componenti – istinto, tecnica e consapevolezza – si traduce in idee e approcci diversi nella produzione e nelle finalità date alle immagini che possono cambiare nel tempo.

Alcune di queste riflessioni sono scaturite dalla lettura di un libro intitolato Fotografia mindfulness. Il viaggio del fotografo: scopri la bellezza fuori e dentro di te, (ed. Amazon 2019), del fotografo Riccardo Pedica, e mi hanno suggerito una possibile idea, abbastanza schematica a dire il vero, di alcune componenti psicologiche che si traducono nell’approccio all’atto fotografico. A volte queste componenti si avvicendano nel tempo, determinando l’evoluzione dello sguardo del fotografo a seconda del prevalere dell’una o dell’altra componente; altre volte, invece, un’unica componente viene eletta dal fotografo come filo conduttore della sua ricerca per un periodo molto lungo della sua attività artistica o, non di rado, per tutta la vita, diventando elemento distintivo del suo stile e dei suoi obiettivi.

La distinzione che segue, dunque, non vuole rappresentare una classificazione scientifica o un modo esaustivo per riassumere i tanti stili fotografici in circolazione, ma una parziale semplificazione del modo in cui le componenti umane influiscono nel processo creativo, narrativo e di interpretazione della realtà sotto forma di immagine.

L’istinto del clic

Quella istintiva potrebbe essere definita la prima fase di questo processo. Il fotografo istintivo solitamente ama scattare in ogni occasione e, cosa indispensabile, è spinto dal desiderio di dimostrare agli altri quanto valga, di essere approvato e riconosciuto. Fotografa un po’ di tutto senza pensarci troppo ed è solitamente distante da questioni culturali fotografiche. È importante sottolineare che la componente istintiva (o istintuale, umana, che proviene per lo più da una parte del nostro cervello che si chiama sistema limbico) è sempre presente in ogni forma espressiva, spesso affiancata al “caso”, altro elemento non prevedibile che si insinua anche nella fotografia consapevole, producendo risultati decisamente più efficaci e singolari proprio per il fatto di non essere cercati.

L’istinto consapevole

La storia della fotografia è fatta anche di esempi illustri di autori che hanno fatto dell’istinto un elemento centrale di tutta la loro ricerca. Basti pensare a una parte della fotografia concettuale e di sperimentazione che, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso ha seguito un percorso a ritroso partendo dalla consapevolezza per recuperare la componente involontaria e casuale nel produrre immagini, per mezzo di una tecnica padroneggiata in modo non convenzionale.

Ne è un esempio emblematico la ricerca di Franco Vaccari con la sua teorizzazione dell’inconscio tecnologico. Secondo l’artista «Non è importante che il fotografo sappia vedere, perché la macchina fotografica vede per lui». Questo concetto scardina i condizionamenti visivi dell’autore che possono limitare le potenzialità della fotografia e punta a dimostrare che quando la macchina fotografica viene lasciata agire autonomamente essa induce comportamenti, relazioni e funzioni fondamentali per la definizione del significato stesso della fotografia nella contemporaneità.

Un discorso analogo si può fare sulle sperimentazioni sui materiali fotosensibili fatte in camera oscura da Nino Migliori, uno degli artisti contemporanei più eclettici e prolifici della fotografia italiana, condotte in parallelo con la sua documentazione sociale a partire dall’immediato Secondo dopoguerra.

Gli step successivi

In una dimensione diversa, un possibile processo di evoluzione potrebbe contemplare, dopo la fase istintiva, almeno altri due step da percorrere: la fase tecnica e la quella mindful (consapevole).

Il fotografo tecnico partecipa a forum di settore online, dove si confronta con altri fotografi; la grande differenza tra il fotografo istintivo e quello tecnico è che quest’ultimo crede molto nelle sue capacità, è fiero dei risultati che riesce a prevedere e per questo ama pubblicare o condividere le sue foto. È ancora dipendente dal giudizio degli altri e si sente legittimato solo quando qualcuno ne conferma il valore (la cosiddetta autostima percepita). Solitamente aspira a seguire le orme dei grandi maestri, provando a capire e ad applicare la tecnica che si nasconde dietro a ogni fotografia.

Il fotografo tecnico ha una discreta capacità di composizione, fotografa con rigore tecnico e si interessa notevolmente all’attrezzatura. Quello che forse gli manca è la libertà di esprimere sé stesso, di trovare la propria voce, per così dire: spesso copia lo stile di altri senza concentrarsi molto sulla ricerca del proprio.

Mindfulness

Come detto significa consapevolezza: la terza fase nell’evoluzione dell’arte della fotografia vuol dire innanzitutto conoscere e poi agire quasi esclusivamente per ciò che veramente piace o interessa, quindi senza aspirare né al risultato finale né al riconoscimento da parte degli altri. Il fotografo consapevole è immerso semplicemente nel processo e si concentra su ogni aspetto della realizzazione della propria foto. Praticare la mindfulness aiuta ad essere “qui e ora”, ma la consapevolezza può esserci paradossalmente anche nel porsi in modo deliberatamente inconsapevole, affidandosi al caso, agli automatismi (un po’ come facevano i Surrealisti), in grado più dell’occhio umano di catturare immagini non percettibili alla coscienza; si pensi a un altro sperimentatore, Anton Giulio Bragaglia, teorico del Fotodinamismo Futurista, e alle sue fotodinamiche scattate volutamente con lunghe esposizioni a soggetti in movimento. Era il 1911 quando tutto ciò accadeva.

Al di là di queste classificazioni che non hanno la pretesa di ingabbiare i fotografi in definizioni statiche, ciò che vorrei sottolineare è che la psicologia e la fotografia hanno in comune un fine importante: spronarci a guardare le cose da punti di vista diversi. Basti pensare alle note illusioni ottiche, studiate in maniera approfondita dalla psicologia della Gestalt (che in tedesco vuol dire “forma”).

Anche Leonardo suggeriva agli artisti del suo tempo di osservare le macchie sui muri, le venature dei marmi, le nuvole, la cenere per scorgervi paesaggi ed animali, per abbandonandosi alla potenza evocatrice delle “cose confuse”, perché “nelle cose confuse l’ingegno si desta a nuove invenzioni.

Dunque, con gli occhi aperti possiamo provare a guardare ciò che ci attrae, affinché questo possa generare in noi percezioni completamente diverse di quanto è dinanzi a noi. Così pian piano ci si prepara a compiere tutti gli atti “consapevolmente” per raggiungere il risultato finale. Il punto massimo dell’espressione mindfulness del fotografo citato all’inizio è dunque nello sviluppo della propria creatività, la realizzazione del Sé fotografico. Per lo psicanalista Carl Jung, infatti, raggiungere lo scopo ultimo della vita psichica significa costruire una personalità dinamica, orientata verso un perfetto, anche se precario, equilibrio di forze, conseguire una identità autentica, congrua, non “costruita” o “emulata”. E questo vale anche nell’arte.

Massimo Lanzaro è Dirigente Medico di Psichiatria, Psicoterapeuta e saggista. Divulgatore scientifico, è stato Primario al Royal Free Hospital di Londra. I suoi volumi più recenti sono “Il medico dell’anima” (YCP, 2021) e “Lo schermo e laiagnosi” (Mimesis, 2019).

Suggerimenti bibliografici

  1. Hofmann SG, Gómez AF. Mindfulness-Based Interventions for Anxiety and Depression. Psychiatr Clin North Am. 2017 Dec;40(4):739-749.
  2. Goldberg SB, Tucker RP, Greene PA, Davidson RJ, Wampold BE, Kearney DJ, Simpson TL.Mindfulness-based interventions for psychiatric disorders: A systematic review and meta-analysis. Clin Psychol Rev. 2018 Feb; 59:52-60.
  3. Mindfulness per principianti. Nuova ediz. con Contenuto digitale per accesso on line Turtleback, 2018 di Jon Kabat-Zinn (Autore), Anna Lucarelli (a cura di), Lorenzo Colucci (a cura di), Franco Cucchio (a cura di), Gherardo Amadei (a cura di).
  4. Jon Kabat-Zinn. Dovunque tu vada ci sei già. In cammino verso la consapevolezza. Corbaccio , 2019
  5. Riccardo Pedica. Fotografia Mindfulness: Fotografare con consapevolezza per ritrovare il benessere. Formato Kindle, 2019
  6. Goh C, Agius M. The stress-vulnerability model how does stress impact on mental illness at the level of the brain and what are the consequences? Psychiatr Danub. 2010 Jun;22(2):198-202
  7. Demke E. The Vulnerability-Stress-Model-Holding Up the Construct of the Faulty Individual in the Light of Challenges to the Medical Model of Mental Distress. Front Sociol, 2022