Pareri a confronto

Le aggressioni al personale sanitario: un problema cultura
di GIAN PIERO SBARAGLIA

Come non accorgersi ogni giorno del rincorrersi di continue notizie che hanno per tema il mondo della nostra “Medicina”?  Dai numerosi recenti esempi apparentemente di “Malasanità”, dalle sempre più frequenti aggressioni perpetrate nei confronti dei sanitari, che stanno costringendo i politici a rimettere posti di polizia negli ospedali, soprattutto nei Pronto-Soccorsi, fino alla demotivazione dei giovani nel volersi dedicare a questa splendida e nobile professione, col disertare i concorsi per esserne ammessi o abbandonare i concorsi per entrare in ambito ospedaliero. Il bello è che da parte di coloro che dovrebbero gestire il problema, non si fa altro che parlare, raccontando soltanto gli episodi che fanno “scena”, “notizia”, “scalpore”, il tutto condito con “effetti speciali”, ma omettendo colposamente di ricercarne le eventuali cause e porre ad esse altrettante soluzioni valide e determinanti. La storia ci insegna che soltanto lo studio del passato, la ricerca del tempo in cui le cose andavano bene, ma soprattutto il porsi con sincera umiltà alla riflessione delle probabili cause, ci dà di sicuro risposte e quindi rimedi da adottare affinché il tutto ritorni non soltanto “normale”, ma “super”.

Intanto si “ri” cominci a dare il giusto valore alla preparazione di questa nostra nobile professione che, ipocrisia a parte, necessita di gente acculturata, valutata soprattutto per le qualità intellettuali e non per i “nobili natali” o per “i nomi altisonanti” di cui sono portatori. E lasciatemelo dire: il mondo accademico ne è pieno. Alcuni lo chiamano “nepotismo” ed allora si abbia il coraggio di metterlo in evidenza. Ma la scelta di collocare i figli nello stesso posto dei padri non deve essere fatta a discapito di altri che, pur avendo dimostrato alte qualità ma essendo “figlio di nessuno”, viene invece scartato o retrocesso. Già questo metodo nel tempo ha generato uno stato di pessimismo nell’approcciarsi alla nostra professione. Sappiamo benissimo che questo è “indimostrabile”, ma basta fare un giro per gli atenei per costatare quanti “nobili” cognomi circolano, di generazione in generazione.

E poi si è mai pensato che l’aver voluto innalzare a professioni con titolo universitario abbia causato una commistione di ruoli che ha portato a molti equivoci o addirittura ad “appropriarsi” di professionalità e competenze? C’era bisogno di dare il titolo di “Dott.” a tutti, per farli sentire forse più bravi? Di fronte a queste semplici costatazioni, si preferisce chiudere gli occhi, purtroppo, perché non si vuole ammettere che, soprattutto in ambito sanitario, questo ha generato una guerra tra “dottori” nello stesso reparto: ma nessuno lo vede e nessuno ne parla!

Allora perché meravigliarsi di certi comportamenti violenti da parte di gente estranea nei vari Pronto-Soccorsi? Comportamenti, sia chiaro, sempre da condannare. Si è vero, il lavoro è tanto, i turni sono pesanti, il personale è scarso, ma al contempo mi domando: dove sono andate a finire la semplicità e la gentilezza? In qualità di responsabile sanitario di una Associazione di Volontariato, che lavora nel campo socio-sanitario, ho avuto modo di toccare con mano, quanto succede in quei luoghi, che spesso frequentiamo, per accompagnare malati bisognosi e nullatenenti.

Molti anni sono passati da quando noi giovani ci approcciavamo per le prime volte alla nostra professione! E come dimenticare gli insegnamenti dei veri maestri che ponevano al primo posto il Malato: maestri che erano seguiti sempre dall’intera équipe, con in testa il Primario che solo secondariamente lo affidava al giovane Assistente, nella continuazione dell’assistenza, ma comunque sempre con l’obbligo di aggiornare il Primario. È così anche oggi? Chi scrive, per numerose volte ha costatato la latitanza sia dello stesso Primario, che dei colleghi, che hanno elargito una prestazione chirurgica, nel verificare che tutto sia andato bene; spesso si parla e si critica senza cognizione diretta degli avvenimenti senza aver vissuto queste esperienze in prima persona, e che spesso vengono nascoste e taciute, mentre solo se vissute in prima persona, ti danno contezza anche delle soluzioni, quelle vere.

Ma l’ambito non è soltanto quello Sanitario. Si puntino gli occhi sulle scuole dove è in corso una contestazione a dir poco violenta, a fronte della quale non si vede muovere nessun comitato di “genitori” che prenda la palla al balzo per dire e ribadire ai propri figli studenti, che va bene la contestazione, ma esistono prima lo studio e la frequenza alle lezioni. Abbandonare così di frequente le aule, anche per fare una semplice giusta manifestazione, significa far retrocedere l’acculturamento, il quale con questo modo di fare verrà di certo sacrificato e chissà quando recuperato! I problemi esistenti andrebbero rappresentati da un comitato genitoriale degli alunni, che non ha nulla da perdere in fatto di lezioni, ma che dovrebbe essere al corrente delle problematiche scolastiche dei propri figli e rappresentare le loro lamentale o problemi alle competenti istituzioni. Ma è così difficile accorgersi che questi ragazzi se possono fare quello che fanno è perché si sentono SOLI, non guidati, soprattutto in ambito familiare, dove forse non trovano soddisfazione o si sentono emarginati, non compresi, o peggio, non ascoltati?

Purtroppo negli anni sono venuti a mancare molti seri luoghi di loro aggregazione, quali gli Oratorio, i famosi circoli studenteschi, dove l’aggregazione dava frutti positivi. Quanti sportivi, soprattutto nel calcio, si sono fatti le ossa nei campi di una parrocchia o nel campo da calcio del proprio paesello d’origine! Quanti cantanti o musicisti hanno cominciato la loro carriera contando e suonando nei Cori di Chiesa o nei teatri parrocchiali? Oggi assistiamo quasi immobili ai rave –party, ai raduni in discoteca, ai raduni per concerti, che creano solo divertimento soggettivo (purtroppo anche accompagnato dall’uso e abuso di sostanze stupefacenti) e che di acculturamento non hanno nulla, anzi servono solo a disperdere l’attenzione dai seri problemi, ritardandone la soluzione.

Parlare e scrivere oggi di queste cose, significa mettere in evidenza l’andare controcorrente ed essere etichettato come “predicatore”, “il solito perbenista”, il “castigatore dei costumi”.  E che dire delle baby-gang? Senza allargare gli orizzonti in altri settori della società di oggi, è comunque evidente che il malessere che serpeggia, il permissivismo smodato, il buonismo ostentato, l’assenza di una cultura seria e di una formazione dovrebbero spingere tutti a riflettere, in nome di una prevenzione che purtroppo non c’è. E che dire infine degli ambienti poco sereni in casa, in famiglia, dove frequentemente il femminicidio la fa da padrone. Fermiamoci qua, ch’è meglio.

Dott. Gian Piero Sbaraglia
MEDICO CHIRURGO
Spec. In Otorinolaringoiatria
già Primario Otorinolaringoiatra,
C.T.U. del Tribunale Civ. e Pen. di Roma
Direttore Sanitario e Scientifico

Centro di Formazione
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Misericordia di Roma Centro – ROMA.