Cultura è Salute

Neuroscienze cognitive della musica: il cervello musicale tra arte e scienza
di ALICE MADO PROVERBIO

Intervista di Eleonora Marini

Lei è tra le ricercatrici che di più ha indagato sul nesso tra neuroscienze e musica. Un lavoro complesso culminato con la stesura del libro “Percezione e creazione musicale”. Quali temi affronta? E quali aspetti della vita mentale coinvolgono la musica?

Questo volume rappresenta la continuazione del precedente “Neuroscienze cognitive della Musica” (Zanichelli, 2019) in cui si affrontano gli aspetti più neuroanatomici del cervello musicale (ad es., la risposta fisiologica alla dissonanza, la neuroplasticità cerebrale del musicista e del cantante, i neuroni specchio, l’orecchio assoluto, ecc.). In “Percezione e creazione musicale” si fa un passo in avanti, descrivendo molti temi finora inesplorati. Basandoci sulla più recente letteratura neuroscientifica, si esamina il ruolo dei 2 emisferi cerebrali nell’elaborazione del ritmo, dell’armonia, del timbro e della sintassi musicale. Si descrivono le basi neurali dell’immaginazione musicale e della sinestesia, dei meccanismi neurali del solfeggio, della lettura del setticlavio e dell’ideazione creativa nella composizione musicale. Una sezione di “Percezione e Creazione Musicale” (Zanichelli, 2022) è dedicata all’utilizzo della musicoterapia in numerose patologie di carattere psichiatrico e neurologico, come pure alla distonia focale (malattia professionale dello strumentista), con una descrizione dettagliata della patologia ed un riferimento ad alcuni possibili rimedi per prevenirla e curarla. Un ampio spazio è dedicato alla Neuroestetica, alla semiotica della musica e a come questa trasmette emozioni. Perché ci piace ascoltare la musica triste? Qual è il rapporto tra l’interprete e il suo pubblico? Il libro è corredato da 4 interviste a straordinari interpreti e solisti del nostro tempo che rivelano il vissuto psicologico dell’artista durante l’atto interpretativo. Tra i temi approfonditi vi sono: come fa la musica a farci addormentare, come cambiano il sonno e i nostri sogni se ascoltiamo la musica, come si può trasformare il pensiero o addirittura lo stato d’animo in note musicali, come si può suonare senza mani. Si spiega come mai associamo i colori a determinati suoni, perché i violinisti possono suonare interamente con l’emisfero destro, e come mai le persone che ascoltano più volentieri musica triste sono più empatiche e compassionevoli. E ancora, si scopre che il proprio tempo preferito individuale (cioè il ritmo della musica) dipende da come camminiamo. Nella parte finale sono delineate le caratteristiche mentali, psicologiche e neuropatologiche del genio creativo. Con l’ausilio delle moderne tecniche dell’indagine neuroscientifica, corredate dalle cartelle cliniche originali, vengono ripercorse le vite di 17 grandi compositori e virtuosi della storia della musica: dall’irascibile Beethoven ai deliri di Schumann, dall’emisfero destro di Ravel all’astrocitoma di Gershwin. Viene proposta una riflessione sulla relazione tra genio musicale e follia.

Sempre più evidenze scientifiche confermano il valore terapeutico della musica, in particolare rispetto ad alcune patologie specifiche come il Parkinson, la sclerosi multipla e le malattie neurodegenerative. Secondo la sua esperienza ritiene che le discipline artistiche possano effettivamente costituire un potente farmaco di supporto alle più tradizionali terapie?

Assolutamente sì. Le evidenze scientifiche a favore degli effetti terapeutici e riabilitativi della musica, per non parlare di quelli analgesici, palliativi e psico-emotivi, sono innumerevoli. Il canto viene efficacemente utilizzato in ambito riabilitativo e terapeutico, perché è un’abilità spontanea ed è piacevole per i pazienti, soprattutto dal punto di vista emotivo.  Viene utilizzato come pratica terapeutica sia per potenziare e curare il sistema cardiovascolare e polmonare (in quanto stimola direttamente la muscolatura associata alla respirazione e alla fonazione), che in molti deficit neurologici che risultano in difetti del linguaggio. Persone afflitte da balbuzie alle quali viene chiesto di leggere o di cantare i testi di canzoni famose fanno senz’altro meglio nella condizione di canto che nella condizione di lettura. Anche i pazienti con problemi motori possono beneficiare della tecnica terapeutica del canto per ridurre sintomi quali qualità vocale affannosa, debole e discontinua. Praticare il canto anche per brevi periodi (terapia di intonazione melodica) è senz’altro terapeutico e benefico. Studi MRI e di analisi della connettività mostrano sinaptogensi (sviluppo di nuove connessioni) a supporto di aree compromesse da lesioni o degenerazione, in seguito a sessioni di cantoterapia. Pazienti con sclerosi multipla beneficiano specificamente del canto per la fonazione e la respirazione.

Ascoltare la musica durante la locomozione nei pazienti con sclerosi multipla o Parkinson aumenta la velocità e la lunghezza del passo, diminuendo al contempo il senso di fatica. In particolare la stimolazione uditiva ritmica è molto efficace, poiché il ritmo musicale è in grado di stimolare direttamente il cervelletto, i gangli delle base e la corteccia motoria, inducendo il movimento attraverso il “circuito esterno guidato dai sensi”. Suonare une tastiera o uno strumento musicale, mezz’ora al giorno per diverse settimane, migliora la capacità motoria degli arti superiori. Diversi studi mostrano come ballare a suon di musica migliori l’andatura e l’equilibrio in pazienti con disturbi motori e malattie degenerative. Una terapia di 12 settimane porta ad un accertato miglioramento della mobilità e dell’equilibrio, e ad una maggiore resistenza funzionale degli arti inferiori nella camminata.  In generale, un esercizio motorio a suon di musica praticato due volte a settimana per 45 minuti porta non solo a miglioramenti nella flessibilità/forza muscolare, nell’equilibrio e coordinazione, ma anche ad un netto miglioramento dell’umore del paziente. In conclusione, ritengo che la Musicoterapia in ambito riabilitativo non sia utilizzata quanto meriterebbe, dati i chiari effetti di neuroplasticità che evidenzia.

Invece in che modo la musica può aiutare le persone con dislessia?

Il canto e il gioco musicale favoriscono lo sviluppo del linguaggio nel bambino e la sua capacità di categorizzare e riprodurre i fonemi. Un’ampia letteratura sperimentale ha dimostrato i benefici della formazione musicale per lo sviluppo delle abilità linguistiche e di lettura, della consapevolezza fonologica e della sensibilità al ritmo e all’altezza dei suoni. Studi da noi condotti presso il laboratorio di elettrofisiologia cognitiva dell’Università di Milano-Bicocca mostrano inoltre come l’alfabetizzazione musicale agisca direttamente sul meccanismo neurale di lettura (riconoscimento ortografico), favorendo lo sviluppo di una secondo centro per il riconoscimento simbolico nell’emisfero destro (normalmente solo localizzato nella corteccia occipito/temporale sinistra). Tale “area visiva per la lettura delle note” addestrata nel riconoscimento spaziale della notazione e del pentagramma, si attiverebbe automaticamente anche nella lettura di parole e supplirebbe ad un’anomala lateralizzazione funzionale del linguaggio in soggetti con una predisposizione genetica alla dislessia (per esempio con una lateralizzazione a destra del meccanismo di conversione grafema/fonema) esercitando un ruolo protettivo nei confronti del disturbo di lettura.    

Infine “Club Medici” promuove “Cultura è Salute”, il primo network nazionale per le arti ed il benessere dell’individuo. Più di 100 Associazioni, che lavorano appunto con le arti per il benessere e la salute, hanno già aderito. Cosa pensa di un progetto come questo? Crede nella forza della rete sul territorio?

Ritengo che l’associazionismo, il volontariato e le organizzazioni professionali che forniscono supporto psicosociale attraverso la cantoterapia, la musicoterapia, l’arteterapia e la pet-therapy, oltre a migliorare attivamente la salute ed il benessere delle persone, e a supplire alle eventuali inadeguatezze del sistema sanitario nazionale, svolgano (in molti casi) un ruolo centrale nella formazione scientifica degli operatori, e nello sviluppo di pratiche e modelli terapeutici rigorosi quanto “umanitari”, con una prospettiva rivolta non solo al miglioramento della salute “fisica” del paziente, ma anche del suo benessere globale, includente la sfera psicologica, emotiva e relazionale. È importante a questo proposito distinguere e valorizzare gli operatori che utilizzano un approccio rigoroso, per scoraggiare la proliferazione di teorie e pratiche pseudo-scientifiche (ad es., esoterismo), che si basano su assiomi e teorie mai dimostrate, a scopo di lucro, allontanando così maggiormente i professionisti in ambito sanitario che sono scettici sull’utilizzo delle arti nel processo terapeutico.

Prof.ssa Alice Mado Proverbio, Università di Milano-Bicocca