Cultura è Salute

“Rapsodia algherese”, l’intrigante romanzo storico di un medico scrittore

2 Luglio 2024

Alla fine del XVIII secolo tra Alghero e Ajaccio, tre mondi si sovrappongono, incontrano e scontrano… quello patriarcale, quello clericale e quello rivoluzionario, indipendentista e fuorilegge, in un Mediterraneo, scenario di intrighi, tra potenze senza pace, in gara per un tesoro perso sulla rotta d’un pirata Barbaresco, Turgut. Inizia così̀ la saga di un Gentiluomo di fortuna, noto ai più̀ come Guillotten, libero pensatore, Pirata Barbaresco per scelta, nobile, eretico o piuttosto… iniziato alla vera conoscenza. Le vicende del protagonista si intrecciano a quelle dei Gutijo, nobile casato Spagnolo e poi Algherese. All’inizio di un vero e proprio can-can di fughe, inseguimenti, attentati, battaglie, tradimenti, amori e passioni contrastati, sta la morte violenta di Venanzio, patriarca dei Gutijo. Ucciso due volte. Il Viceré Algherese, (in catalano Veguer Real), che su tutto questo indaga, saprà̀ scoprire i misteri e gli arcani che costellano questa e le altre storie?

Intervista a Sandro Cervelli, medico ed autore del romanzo
Quando e com’è nata la sua passione per la scrittura?

Scrivere è narrare, ossia raccontare sé stessi agli altri ma, anche e più spesso, gli altri a loro stessi. Per farlo occorre conoscere e la conoscenza si ottiene con l’ascolto e la lettura; il viaggiare con curiosità attraverso il proprio e gli altrui mondi, tutto memorizzando. Ho iniziato ascoltando le gratificanti favole della “buonanotte” infantili, che tanto infantili poi non sono (da Fedro ai Grimm, da La Fontaine ad Andersen ecc.). Ho proseguito con le letture giovanili della letteratura mitteleuropea (da Dumas a Verne, passando inevitabilmente per Salgari), anglosassone, da entrambi i lati dell’oceano (da Stevenson a Mark Twain, passando per Conrad, Kipling, Defoe) senza tralasciare quella russa (da Dostoevskij a Tolstoj, ecc.) dall’Ottocento ai primi del Novecento. Inoltre non ho mai disdegnato due tipologie di sapere: quello più prosaico e popolare dei “Proverbi” e una sottocultura oggi rivalutata e apprezzata, il fumetto d’autore (da Hugo Pratt a Moebius, passando per Carl Barks). Ho proseguito con gran parte della letteratura italiana del Novecento (da Guareschi ad Arpino, da Eduardo de Filippo a Moravia, da Pasolini a Campanile ecc). Dopo la lettura di Umberto Eco e Calvino, ho preso il coraggio a due mani e ho iniziato a pubblicare le “mie” storie fantastiche, nate dall’immaginazione, dal ricordo e dalla nostalgia di ciò che ricordavo e non trovavo più. Esce così nei primi anni 80 una raccolta di poesie “Acredine”, seguita poi nel tempo, da un primo romanzo, tra il Fantasy e la Gothic Novel, e da sei commedie sotto mentite spoglie, raccogliendo consensi e qualche riconoscimento. Con “Rapsodia Algherese” torno a scrivere mettendoci la faccia, come dire: ricomincio da…me!

Ma cosa spinge un medico a scrivere un libro che non parla di medicina? 

La lotta quotidiana contro i tanti mali che continuano a uscire dal “vaso di Pandora” e contro Thanatos, con alterni successi e insuccessi, determina in noi medici uno stato di “stress” non positivo, dannoso nei lunghi periodi, soprattutto per i carichi assistenziali gravosi, continui e con più alto rischio di insuccesso, specialmente quando rivolti alla cronicità e alle patologie terminali. Questo stress va combattuto con l'”evadere”, almeno mentalmente, dalle situazioni che lo determinano. Queste, proprio perché quotidianità lavorativa, non consentono di allontanarsi fisicamente da esse. Per risolvere il burnout che ne deriva può essere utile una lettura evasiva, gratificante, coinvolgente ed estranea al contesto sanitario con un meccanismo, come dire “catartico”, liberatorio tanto per chi scrive quanto per chi legge. Il percorso è valido in entrambi i sensi. Per questo, pur producendo la più che giusta quantità di pubblicazioni a carattere scientifico, ho scelto di scrivere contestualmente opere letterarie estranee dal contesto medico. Questo con risultati per me positivi, in quanto scrittore che libera la propria fantasia creativa, in una sorta di “training autogeno” terapeutico. Se ciò sia valso anche per gli altri, i lettori intendo…ai posteri l’ardua sentenza!

Ritiene che le arti e le attività culturali siano in qualche modo “salvifiche” per chi svolge la professione medica ed è dunque a rischio burnout?

Quando il mal de vivre esistenziale si sostituisce o, peggio, si associa allo stress lavoro-correlato, si innesca un circolo “vizioso e viziato” che attraverso l’iniziale percezione d’impotenza contro la malattia conduce alla “ansia da prestazione professionale”, seguite da un senso di apatia e demotivazione che, attraverso la depressione, sfociano nel burnout. Distogliere la mente dalla routine ed elevare il pensiero-spirito verso uno stato di superiore ben-essere, che utilizzi l’arte come antidoto al veleno dell’apatia e, più in generale, la cultura come “ancora di salvezza “nel mare in tempesta dello stress mentale, consente il recupero di un equilibrio stabile; ossia di “un centro di gravità permanente” che però cambi l’usuale punto di osservazione degli accadimenti, ormai percepiti come negativi, staccando la mente dall’ossessione dell’inadeguatezza professionale. La scrittura, la pittura, il canto, la musica, la recitazione, la danza e più in generale tutte le attività artistiche che esprimono energia positiva, in grado di prevenire e/o curare l’instaurarsi di quei circuiti mentali negativi di cui si nutre il burnout, sono attività salvifiche per i medici che le praticano e che, so per certo, sono in tanti!

Club Medici con il network di “Cultura è Salute” promuove proprio il benessere individuale attraverso le pratiche artistiche. Anche secondo lei “cultura” è sinonimo di “salute”?

La cultura, attraverso la conoscenza e pratica delle “belle Arti”, espressioni del culto della bellezza, anche di quella creata dall’uomo, determina uno stato di ben-essere psichico che è salute mentale. Ma la locuzione latina mens sana in corpore sano, verità inconfutabile, sancisce l’interazione-integrazione tra mente e corpo in un “unicum esistenziale” interattivo! La cultura, dunque, nutre la mente e parimenti il corpo, che se ne giova allo stesso tempo, generando un eclettico ben-essere psico-fisico che è vera salute!