Medico-Paziente

“SI VIVE E CI SI EMOZIONA anche da malati”

6 Novembre 2020

Affrontiamo la malattia con spirito nuovo! Proseguire con la prevenzione e la diagnosi precoce è una priorità per tutte le donne. L’intervista all’oncologa Giovanna Masci, autrice del libro “Male Habitus”.

Innanzitutto le chiederei di presentarci brevemente il suo lavoro. Che tema affronta il libro e com’è nata l’idea di scriverlo?

Il libro affronta il tema intricato della malattia oncologica, non sul piano tecnico- scientifico ma su quello esistenziale-filosofico. Per questo la lettura è agevole ed è dedicato a tutti, non solo ai professionisti del settore. Il titolo, Male Habitus, proviene dal latino habere e significa star male. La prima parte introduttiva è un saggio dove si discorre della malattia in senso lato, della sua ambivalenza in qualità di fattore negativo e positivo allo stesso tempo. Ci sono cenni su alcuni temi attuali in medicina: comunicazione e rapporto medico-paziente, empatia, dire o non dire la verità, quanta verità dire, e anche cenni ai diversi aspetti emotivi, soggettivi e filosofici che da sempre attorniano la malattia e la sofferenza. Anche se può apparire paradossale, la malattia è in grado di far percorre strade nuove e mai immaginate dell’esistenza, quando è ben vissuta può offrire persino un senso positivo; infatti, viene trattata come parte integrante della vita, come suggerisce il sottotitolo “la malattia, come la vita, non avviene senza una ragione”. Il libro invita il lettore alla riflessione sul senso della vita e sull’essere malati, accennando ad alcuni principi di autocura che possono essere un punto di forza per chi affronta una malattia, specie oncologica. Compito del terapeuta è riportare la mente del paziente alle ragioni della vita, far individuare anche nello stato di malattia i punti positivi, perché, in fondo,si vive e ci si emoziona anche da malati, a volte anche più intensamente di quando si era sani”, facilitare il processo di allontanamento dei pensieri negativi che attorniano la mente e che, molte volte, finiscono per fare più male della malattia stessa. Il libro è stato ispirato dalle storie dei pazienti, dall’osservazione di come la malattia è in grado di modificare il vissuto, le emozioni e le azioni delle persone colpite, e con quale processo, a volte, riesca a riportare ad una vita diversa, più essenziale e consapevole. E, come, anche il terapeuta stesso, partecipi a questo processo. La prima edizione è stata ben accolta, tanto che d’accordo con la casa editrice, si è arrivati alla stesura della seconda edizione, migliorata nella forma grafica e nei contenuti.

Ottobre è stato il mese della prevenzione del tumore al seno. Anche la LILT, che fa parte del network di “Cultura è Salute”, si è occupata ampiamente del tema. Qual è la situazione in Italia? Secondo lei è aumentata la sensibilità rispetto a questa patologia? Le donne sono più attente in termini di prevenzione?

In Italia il tumore al seno continua ad essere il più frequente per incidenza nelle donne, con una stima di circa 53.000 nuovi casi l’anno, ma la notizia positiva e che la mortalità continua a calare. Un’altra notizia positiva che ci terrei a sottolineare con l’occasione di questa intervista è che anche i casi più sfortunati, ossia quelli che hanno sviluppato una condizione metastatica, oggi, grazie a farmaci innovativi, possono vedere trasformata la loro malattia in una forma cronica. E tra l’altro, questi farmaci hanno il vantaggio di preservare la qualità di vita e di essere poco tossici.  La campagna di prevenzione quest’anno mi sembra che sia stata partecipata più degli anni precedenti, anche per un forte desiderio di recuperare gli esami di screening, le visite e i consulti saltati nel periodo di inizio pandemia. Sicuramente oggi le donne sono più attente alla prevenzione, come dimostrano le numerose associazioni in rosa che continuano a fiorire nel nostro territorio, e cosa che ancor di più fa piacere, anche al Sud Italia.

L’attuale pandemia da Covid ha “rallentato” le diagnosi di alcune neoplasie?

Purtroppo sì, il Covid, raggelando gli spostamenti e i contatti sociali, ha comportato lo slittamento di visite preventive, di esami, consulti e, in molti casi, ha portato a tristi conseguenze determinate dal ritardo diagnostico. Nel mio lavoro con le donne con tumore al seno ho osservato come molte, anche giovani, siano arrivate a settembre con noduli della mammella riscontrati nei mesi fatidici della pandemia tra marzo e giugno, quindi trascurati per 4 – 6 mesi. E bisogna considerare che la pandemia non ha colpito solo i contatti sociali e gli spostamenti, ma ha colpito duramente anche l’equilibrio mentale di molte persone, creando ansia, incertezza del futuro, fragilità, paura ad affrontare un percorso di cura.

Che momento state vivendo voi medici? Quali sono le criticità maggiori?

I medici e, in generale gli operatori sanitari, hanno vissuto e vivono un momento difficile; ciascuno ha fatto a suo modo un’esperienza umana e professionale lacerante, che ha fatto emergere paure, debolezze, senso di inadeguatezza, e anche costernazione di fronte a criticità improvvise e ai tanti cavilli burocratici e alla confusione che, in alcuni casi, hanno impedito una fluidità e una sensatezza dell’agire.  Le criticità maggiori dei medici, oggi, sono: paura di ammalarsi e di divenire fonte di contagio per familiari e amici, difficoltà (ma anche sfida) ad adattarsi repentinamente a situazioni di emergenza, riconsiderare i percorsi terapeutici per garantire la sicurezza dei pazienti e dei colleghi, reggere il corretto e prolungato uso dei dispositivi di sicurezza, far fronte alle esigenze dei pazienti sempre più pertinenti a problematiche non strettamente mediche, ma sociali, economiche, logistiche e improntate sempre più spesso su richieste di sostegno psicologico. Non è poco il passaggio che è stato fatto, passare da una medicina arricchita di servizi, di procedure consolidate, dove tutto era programmato e programmabile ad una medicina di emergenza, da campo.