Cultura è Salute

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Un pianoforte a coda entra in sala operatoria

24 Novembre 2020

“L’arte è nata, prima ancora che per lo svago, proprio per la nostra salute”: paroladel biologo e compositore, Emiliano Toso, che per la prima volta al mondo suona in sala operatoria, durante un intervento chirurgico.

Biologo molecolare, ma anche musicista e compositore, Emiliano Toso, con il suo pianoforte acustico intonato a 432 hz, ha suonato per diverse ore durante un delicato intervento di asportazione di un duplice tumore del midollo spinale ad un bambino di dieci anni, all’ospedale “Salesi” di Ancona.

Com’è arrivata la proposta di suonare in sala operatoria e come l’ha accolta?

Era il 25 settembre, quando i Professori Roberto Trignani e Carlo Rossi, che avevano assistito ad un mio concerto a Senigallia e già utilizzavano la mia musica in ospedale, hanno bussato al mio camerino per chiedermi di realizzare un progetto, mai accaduto prima al mondo: portare il mio pianoforte in sala operatoria durante un intervento chirurgico. Ho ascoltato me stesso ed ho accettato con slancio la proposta: avrei dovuto suonare durante un delicato intervento chirurgico su un bambino di 10 anni, che doveva essere operato al cervello; inizialmente ho vissuto emozioni contrastanti, ho avuto paura ed ho provato molta tensione all’idea di vivere un’esperienza così delicata.  Ero preoccupato perché mi chiedevo se fossi in grado di superare uno scoglio così grande, ma da subito il lavoro di team è stato eccezionale. Il Professor Trignani, già nei giorni precedenti all’intervento, ha fatto ascoltare la mia musica a questo piccolo paziente, poi ho avuto modo di conoscere meglio i suoi familiari, creando con loro una sorta di “patto emotivo”. Siamo entrati da subito in empatia ed abbiamo vissuto questa esperienza, ognuno con le sue emozioni, tutti insieme, supportandoci e condividendo ogni momento. Durante l’intervento chirurgico, che è durato oltre quattro ore, lo staff mi ha sempre coinvolto e mi ha dato indicazioni su come suonare. Era la prima volta al mondo che un pianista, con il suo pianoforte a coda, varcava la soglia di una sala operatoria.

Che tipo di effetti sono stati riscontrati?

Da subito è stata rilevata una forte cooperazione tra tutti i componenti dello staff medico: l’armonia e la serenità, generate dalle note del pianoforte, hanno consentito a figure professionali molto diverse d’integrarsi alla perfezione: in sala operatoria c’erano moltissime persone, dallo psicologo all’oncologa, fino agli strumentisti e ai chirurghi e la musica ha favorito il lavoro di squadra. Inoltre l’aspetto più interessante, che faceva parte del progetto sperimentale del Professor Trignani, è che sul bambino sono state notate subito diverse reazioni: se la musica s’interrompeva, veniva rilevato, tramite elettroencefalogramma, che si “spegnevano” determinate aree del cervello; quando ripartiva la melodia, nonostante l’anestesia totale, il bambino riusciva a recepirla. Se ci ripenso, ho ancora i brividi.

Prima dell’intervento cosa le ha detto questo piccolo paziente? E la sua famiglia come ha vissuto quei momenti?

Essendo anche io genitore, mi sono messo nei panni di questa famiglia, ed ho voluto da subito entrare in empatia con loro. Ho trovato molto bello, circa mezz’ora prima dell’anestesia totale, poterli incontrare. Ci siamo soprattutto guardati, non abbiamo parlato molto, ma si è instaurato subito un rapporto di fiducia, un patto emotivo, ci siamo detti “ce la metteremo tutta”. Il bambino scherzava e mi raccontava che generalmente ascoltava musica “heavy metal”, perciò molto distante dalle note di un pianoforte, quindi si è creato un bel clima di complicità.  Ho sentito da parte dei suoi genitori molta gratitudine per i medici ed anche per me. Ho vissuto una sfida importante, soprattutto se consideriamo che questo intervento è stato eseguito in piena pandemia e durante il lockdown, per me è stato un nutrimento incredibile. Avevo già realizzato un concerto, a fine settembre, con finalità benefiche e proprio per questo ospedale, ma far parte in prima persona di un’esperienza così straordinaria, è stato eccezionale e molto toccante.

Da biologo molecolare a musicista, ideatore del progetto Translational Music. Quanto la musica ha cambiato la sua vita?

Ho studiato biologia ed il mio percorso è stato prettamente scientifico fino ai 40 anni; la musica, da sempre una mia passione, ha generato una nuova “mission” dentro di me. Mi metto a disposizione di chi vuole condividere la musica: più che di “musico-terapia” parlerei di “musico-medicina”, creata apposta per queste situazioni così delicate. “Translational Music” è il mio progetto, fondato nel 2013, un mare di cellule sotto un mare di musica: parliamo di suoni acustici, intonati a 432hz, quindi parliamo di frequenze naturali per il nostro corpo; c’è un’intenzione particolare quando suono. Questo tipo di musica viene utilizzata già dal “San Raffaele” di Milano, dal “Gemelli” di Roma, dal “Bambino Gesù” di Roma e dal “Mauriziano” di Torino: più di 1000 operatori sanitari ascoltano la mia playlist, messa a disposizione gratuitamente, con molteplici benefici.  La musica crea rilassamento al paziente, abbassa la soglia del dolore e di stress nei reparti, ed è molto importante per gli operatori stessi, che soprattutto dopo la pandemia, vivono momenti di grandissima tensione emotiva: la musica è nata per guarire le nostre emozioni e l’uomo, da sempre, riconosce la melodia come una terapia per le emozioni.

Questa esperienza che ci ha appena raccontato, ci fa pensare subito al portale di Club Medici “Cultura è Salute”: come valuta il network? Ritiene che la musica in sala operatoria possa rappresentare il futuro della medicina?

 Sottolineo sempre l’importanza della musica dal vivo, quando si lavora sulla salute: poter ascoltare uno strumento, accordato in questo modo, fa sì che migliaia di frequenze possano arrivare direttamente sul nostro corpo. Dove non si può arrivare dal vivo nelle sale d’attesa o nei reparti, si può pensare di riprodurre la musica con il cellulare o su tablet, ma la qualità della musica dal vivo è diversa. La diffusione della cultura è fondamentale, soprattutto in questo momento storico, caratterizzato da una pandemia globale, che ci lega quotidianamente al concetto di “sopravvivenza”. Tutto viene tagliato, chiuso, sopito, l’arte vive un momento di grande sofferenza. Incentivarla è importantissimo: l’arte è nata, prima ancora che per lo svago, proprio per la nostra salute. L’uomo coltiva da secoli la cultura per trarne benessere; in ogni epoca storica questo connubio c’è sempre stato: la scienza ora sta finalmente anche riconoscendo gli effetti positivi della cultura sull’uomo quindi anche da un punto di vista scientifico si sta dando valore a questo connubio. Le cellule del nostro corpo sono così intelligenti perché riconoscono cosa serve per stare bene e la cultura ci fa stare bene. Arte e scienza si sono uniti dentro di me: sono nato come biologo molecolare, fino a 40 anni ero direttore di un laboratorio ed insegnavo come professore universitario; il pianoforte era una parte intima e segreta. Poi è nata l’idea di creare un cd con le mie composizioni preferite ed ho iniziato a condividere questa esperienza con gli altri: da lì, partendo dal ruolo di scienziato, mi sono appassionato ai molteplici benefici della musica sulle persone e quella è stata la molla che ha fatto scattare il desiderio di coltivare anche a livello professionale la mia passione. È stata una danza che mi ha portato su una nuova strada, che mi ha permesso di unire musica e biologia, e credo fermamente nel valore di questa disciplina.