Sanità e Territorio

Giustizia minorile, tra carceri e comunità.
Intervista a SANDRO LIBIANCHI

22 Marzo 2021

In Italia la detenzione minorile è un fenomeno fortunatamente marginale nei numeri, con una percentuale di presenze assolutamente trascurabile. Ma quale realtà affrontano questi ragazzi? Quali sono le maggiori problematiche e le possibili soluzioni affinché possano essere riabilitati ed integrati correttamente nella società? Ne parliamo con con Sandro Libianchi, Presidente dell’Associazione “Co.N.O.S.C.I.” (Coordinamento Nazionale degli Operatori per la Salute nelle Carceri Italiane – www.conosci.org), già dirigente medico nel complesso polipenitenziario di Rebibbia, Roma, specialista in Medicina Interna, Endocrinologia e Patologie da Dipendenza presso S.P.A.

Che dimensioni presenta il fenomeno della devianza minorile con arresto e/o detenzione e che iter viene seguito quando a delinquere è un minore?

La presenza giornaliera media nelle carceri italiane è di circa 300 ragazzi (281 al 15 gennaio), mentre molto più elevati sono le presenze e i transiti nei Centri di Prima Accoglienza – CPA (presenze al 15 gennaio: 3, periodo 1-15 gennaio: transitati 30 ragazzi). I CPA sono i luoghi dove i ragazzi arrestati per essere affidati in tempi strettissimi, proprio al fine di non creare ‘detenzione’ o il meno possibile.  La legge, infatti, prevede che entro un massimo di 96 ore il magistrato deve indicare quale misura alternativa dare al giovane, cosa che non avviene per gli adulti che possono passare anche mesi o anni prima che sia approvata loro una misura alternativa. L’intero meccanismo di gestione della giustizia minorile è basato su un modello che in Italia funziona molto bene e ci è invidiato dagli altri Paesi, soprattutto extra europei, per la sua altissima valenza socio-rieducativa. Sebbene siano trascorsi quasi 40 anni da quando ci si è dotati di un ordinamento penitenziario che valesse in parte anche per i minorenni, ma che era stato concepito solo per i maggiorenni, un decreto del 2018 ha modificato questo assetto, creando un vero e proprio ordinamento penitenziario minorile. I tempi sono stati molto lunghi, ma sulla base dell’esperienza del modello attuato di cui se ne è valutata la buona funzionalità ben sperimentata in concreto lo Stato ha prodotto una regolamentazione ad hoc (D. Lgs 2 ottobre 2018, n. 121: “Disciplina dell’esecuzione delle pene nei confronti dei condannati Minorenni”).

Su quali principi conta il legislatore?

Intanto si considera come prioritario lo sviluppo psicofisico del minore, che comprende anche la sua educazione e responsabilizzazione alla vita sociale. L’intento è quello di prevenire la ricaduta in altri reati. Il minore ha di fronte a sé tutta una vita quindi deve essere ricondotto ad un ragionevole stile di vita il prima possibile. Viene quindi favorito il percorso della giustizia “riparativa”, della mediazione penale, che ha una corrispondenza nel settore degli adulti come i Lavori di Pubblica U (LPU). Nell’ambito della giustizia minorile l’aspetto a cui si attribuisce una grande importanza per l’opera di riabilitazione, è proprio la mediazione penale; una procedura delicata e difficile, basti pensare ad esempio alla riconciliazione di una donna anziana che ha subito un reato come uno scippo, il ragazzo e le due famiglie. Sulla base dello studio del reato del ragazzo e del suo contesto familiare, si valuto l’assetto psicologico del giovane ed il contesto familiare della vittima e in queste condizioni l’assistente sociale del Ministero della Giustizia, assieme ai difensori, spesso riesce a fare un’opera di mediazione e quindi di riconciliare il reo con la sua vittima e le famiglie di appartenenza.

Il settore minorile è basato molto sulle misure alternative: può spiegarci come funziona?

Il carcere viene contemplato per una stretta minoranza di giovani, autori dei reati più gravi. All’interno del carcere il minore è sottoposto ad un progetto educativo altamente personalizzato ed i bassi numeri consentono di dedicare tempo e risorse a questo delicato processo. Esiste nel sistema penitenziario una rigida separazione tra i minorenni e gli adulti: il carcere non deve diventare l’università del crimine! Con la peculiarità dei giovani-adulti, ovvero i ragazzi tra i 18 e i 24 anni, che possono rientrare in particolari categorie: coloro che hanno iniziato a scontare la pena da minori, che si trascina fino a quando sono maggiorenni; oppure quelle condanne che arrivano dopo il compimento della maggiore età ed altri casi. Anche le stesse strutture penitenziarie minorili sono generalmente diverse da quelle per gli adulti diverse e sono molto meno costrittive ed accoglienti: Il carcere minorile di Roma – Casal del Marmo è dotato di una serie di residenze all’interno di un grande parco, con ampi spazi di ricreazione (campi, palestra, ecc.).  e possibilità di fare sport al suo interno. I ragazzi possono stare al di fuori dalle cosiddette “camere di pernottamento” (le “celle”, che hanno assunto questa denominazione proprio per sottolineare il fatto che devono essere usate solo per dormire, ma nel resto della giornata si riesce a coinvolgere i giovani in numerose attività. Il minore può avere un numero di colloqui di persona, più elevati rispetto agli adulti, così come di comunicazioni telefoniche, sebbene ora la pandemia abbia fatto saltare questi schemi, a favore delle videochiamate. Un’attenzione particolare viene attribuita al rispetto della territorialità: anche se il reato viene commesso in una zona distante dalla propria residenza, le limitazioni alla libertà verrebbero comune riportate in uno spazio circostante o vicino alla famiglia. Infine c’è un’attenzione particolare nel momento della dimissione dall’istituto: proprio per evitare un’interruzione tra il processo rieducativo c’è massima attenzione quando il giovane viene ricondotto all’esterno, nella società. Un’idea precisa sull’entità del fenomeno ci viene dalle cifre riferite ai ragazzi in carico agli Uffici di Servizio Sociale per Minorenni (USSM) del Ministero della Giustizia. Al 15 gennaio 2021, sull’intero territorio italiano c’erano 13.282 soggetti in carico di cui 11.982 maschi e 1.300 femmine e di questi 925 maschi e 63 femmine in comunità private; 10.154 italiani e 3.216 stranieri. 

Di che numeri parliamo? Di quali reati si macchiano più facilmente i minori?

La presenza media è di circa 250-300 ragazzi in tutti gli istituti penitenziari italiani. Le grandi metropoli trainano più di tutti in termini di presenze. I reati sono generalmente contro la persona (più frequente: lesioni personali volontarie) e contro il patrimonio (più frequente: furto); rari sono i reati più gravi come l’omicidio. C’è un preoccupante aumento delle violenze sessuali a carico dei minori. Questa è una realtà che sembra aumentare negli ultimi anni. La tendenza è rapportata all’aumento del consumo di alcolici, cresciuto moltissimo e spesso concausa di reato, ma anche di sostanze stupefacenti. Ad esempio quando avvengono risse collettive tra giovani, spesso e volentieri alla base c’è un consumo smisurato di alcol o di droga. Bisogna poi tenere conto della realtà di genere: le ragazze detenute, o comunque che sono state arrestate, quasi sempre sono di origine non italiana; in questo caso il reato più comune è il furto: in appartamento, sui mezzi pubblici, nei negozi ecc. Queste giovani vengono utilizzate insieme ai bambini per distrarre l’attenzione e per poter perpetrare il reato più facilmente. Spesso hanno un’educazione e una cultura molto carente. Loro stesse subiscono violenze, in una sorta di tratta interna che non consente loro di uscire da questo circolo vizioso, proprio perché sono funzionali all’approvvigionamento di denaro. Per questo un’attenzione particolare viene data alla riammissione nei campi nomadi in cui vivono. Infatti, spesso infatti i programmi di riabilitazione s’interrompono perché queste persone si spostano e questo è uno dei fenomeni alla base di una recidiva molto elevata. Ci sono minorenni donne che sono finite in prigione anche 20 volte in pochi anni.

Lo psicologo e l’assistente sociale sono le due figure chiave: che ruolo svolgono?

Assistono il minore detenuto o in carico ai servizi sociali e preparano il piano di misura alternativa. Fuori dal carcere il ruolo viene preso in carico dalle comunità terapeutiche o socio-riabilitative, peculiari proprio per i minorenni. Sono strutture a bassa capienza, che prevedono una presenza media di una decina di ragazzi, occupati in attività culturali, scolastiche, ludico-ricreative e terapeutiche. Purtroppo in queste strutture esiste la possibilità dell’abbandono dei programmi che assume la veste dell’evasione, che costituisce di poe sé una violazione perseguibile. In questi casi, una volta rintracciato il minore, il magistrato generalmente fa rientrare il minore in comunità. La misura può essere anche con il ricollocamento nella famiglia d’origine che purtroppo però è spesso corresponsabile dei comportamenti del minore e dunque non è sempre consigliato, rendendo necessaria una riconsiderazione della misura alternativa.

I percorsi culturali sono una colonna portante del processo di riabilitazione. Come funzionano?

Le maggiori difficoltà si riscontrano allorché si voglia proporre progetti culturali a culture diverse, a ragazzi stranieri, che vengono da realtà molto distanti da quella occidentale. I percorsi culturali includono la lettura di poesie, laboratori di scrittura per permettere loro di esprimersi o per imparare a farlo. Per i ragazzi detenuti vengono anche organizzate delle uscite programmate con visite ai musei o altre iniziative esterne, che è una pratica che si organizza anche con i detenuti adulti, sebbene restino iniziative confinate nei piccoli numeri. Talvolta, infine, al ragazzo viene mostrato in anticipo il luogo dove andrà a stare (es. comunità terapeutiche o di accoglienza) per portare a compimento un percorso di stabilizzazione migliore e cercare di ridurre la possibilità di fuga; in qualche modo si prepara il terreno, altrimenti la reazione di rifiuto ad una successiva coercizione dopo il carcere è quasi immancabile e questo va assolutamente evitato.