Zoom

Tra scienza e reticenza
il vaccino agli adolescenti
è utile o no?
di BARBARA ILLI e PATRIZIA LAVIA

È del 31 maggio l’approvazione da parte di AIFA del vaccinoComirnaty (BNT162b2) di Pfizer/BioNTech per la fascia di età 12-15 anni, approvazione che segue quella dell’EMA del 28 maggio. Dal 3 giugno il vaccino Pfizer/BioNtech è accessibile in Italia a tutte le fasce di età a partire dai 12 anni.

Ricordiamo quindi brevemente lo stato attuale dei principali vaccini autorizzati negli USA e in Europa:

VaccinoFascia d’età autorizzata (FDA)Fascia d’età autorizzata (EMA)
Pfizer/BioNTech12 anni in su (dal 10 maggio 2021)12 anni in su (dal 28 maggio 2021)
ModernaImminente (giugno) richiesta di autorizzazione per fascia 12-17 anniAnnunciata prossima richiesta di autorizzazione per fascia 12-17 anni
Astra ZenecaNon autorizzato18 anni in su
Johnson & Johnson18 anni in su18 anni in su
  1. Cosa ne pensano i giovani?

Uno studio svolto in Cina ha cercato di mettere a fuoco l’atteggiamento di oltre 1900 universitari con età media 20 anni – quindi non adolescenti – rispetto al vaccino contro COVID-19 per capire le motivazioni alla base di una reazione di accettazione o, al contrario, di scetticismo. Lo studio, adottando quesiti formulati in precedenza riguardo alle epidemie di HIV ed Ebola, ha riscontrato una disposizione a vaccinarsi  nella maggioranza  dei giovani (64%), legata sia alla percezione della possibilità di infettarsi, sia ad una disposizione  pro-sociale. Nella restante frazione di incerti o contrari tre erano i principali motivi di esitazione: i) il timore di possibili effetti avversi; ii) la sfiducia nelle autorità sanitarie, motivata anche da quella che veniva percepita come una scarsa trasparenza dell’informazione all’esplosione dell’epidemia a Wuhan, con conseguente disagio a rendere loro il proprio consenso informato; ed infine, iii) il timore di dover dedicare molto tempo negli studi medici adibiti alla vaccinazione e alle pratiche connesse.

Negli Stati Uniti, l’Università del Michigan ha coordinato un ampio sondaggio tra circa 900 ragazzi di età compresa tra 14 e 24 anni. In questo caso, escludendo il punto iii) che è generalmente ben organizzato e facilmente fruibile nei paesi occidentali, la percentuale dei giovani  favorevolmente orientata nei confronti del vaccino, è salita al 76%  e le motivazioni contrarie o di esitazione riguardavano soprattutto timori rispetto alla sicurezza del vaccino.

Anche nel nostro Paese, la vasta adesione dei giovani agli Open Days del vaccino Astra Zeneca indica un ampio favore dei ragazzi, desiderosi di riappropriarsi della loro libertà.  

Non sembra quindi di riscontrare particolari difficoltà né necessità di imporre coercizioni psicologiche ai giovani, i quali sembrano anzi ben predisposti nei confronti del vaccino in diverse parti del mondo.

  • Reazioni scettiche alle campagne di vaccinazione dei giovani

L’approvazione del vaccino Pfizer/BioNtech contro Covid-19 agli adolescenti ha invece suscitato lo scetticismo o la contrarietà di alcuni epidemiologi, medici, giuristi e psicologi.  Per capire come mai, dobbiamo distinguere almeno due diversi tipi di motivazione.  

I timori di effetti avversi del vaccino

Sono registrati alcuni casi di miocardite e pericardite, particolarmente tra i giovani che avevano ricevuto il vaccino. Si tratta di circa 60 casi nella popolazione vaccinata negli Stati Uniti, dove ormai 165 milioni di persone hanno ricevuto almeno una dose, quindi con incidenza davvero molto rara: tuttavia, la prevalente distribuzione di questi casi tra gli adolescenti non si può ignorare. Questo ha indotto il CDC (Center for Disease Control) ad approfondirne lo studio. Sul sito del CDC è reperibile la documentazione sui casi di miocardite riscontrati.

Tuttavia, sempre il CDC rileva che, a fronte della bassa incidenza di effetti avversi del vaccino, si riscontra un’incidenza senz’altro maggiore di complicazioni, anche con esiti fatali, nei giovani non vaccinati che sviluppano la COVID-19.  Nel corso dell’ultimo anno si è ritenuto che questi effetti fossero rari (ci ritorneremo tra poco), ma un triste serbatoio di dati sullo sviluppo di sindromi anche gravi legate alla COVID-19 viene dal numero purtroppo alto di bambini infetti in Brasile. Uno studio prospettico condotto in 17 unità di terapia intensiva pediatrica in cinque stati del Brasile, da marzo a luglio 2020, ha rilevato diverse forme di una sindrome infiammatoria multisistemica (MIS-C, per multisystemic inflammatory syndrome in children) in pazienti di età media di 6,2 anni. La MIS-C può colpire vari organi: può generare un’infiammazione al livello dei vasi sanguigni simile alla sindrome di Kawasaki, disfunzioni cardiache e disfunzioni a carico di altri organi (qui, una rassegna completa sulla MIS-C).

Considerando l’incidenza di complicazioni da COVID-19 nei giovani, il CDC e l’Accademia  di Pediatria  Americana concludono che i benefici della vaccinazione nella fascia  da 12 a 17 anni superino i rischi e continuano quindi a raccomandarla (qui la raccomandazione dell’Accademia di Pediatria).

Le cause “geopolitiche” dello scetticismo dell’OMS

Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità si è espressa a sfavore della vaccinazione degli adolescenti, asserendo sarebbe meglio destinare le dosi di vaccino a loro dedicate ai Paesi più poveri.

La scelta delle priorità naturalmente tiene conto di parametri che esulano da considerazioni strettamente scientifiche. Dobbiamo però ricordare che dal punto di vista scientifico, di fronte ad una pandemia che coinvolge miliardi di persone, vale più che mai il motto coniato dal comitato consultivo delle Nazioni Unite per gli affari economici e sociali: “No one is safe, until everyone is safe” (nessuno è al sicuro finché ognuno non è al sicuro). Pertanto, sono in atto sforzi per aumentare la capacità di produzione di vaccino nel mondo, individuando siti adatti per la produzione in vari paesi e stipulando accordi di produzione su licenza sotto l’egida della stessa OMS e di organizzazioni non governative di collaborazione globale come COVAX (di COVAX avevamo parlato in un precedente  articolo).

L’aumento della produzione di vaccini può arginare la pandemia, piuttosto che contrapporre la copertura vaccinale completa dei giovani rispetto alla distribuzione dei vaccini nei paesi a basso reddito.  Questa constatazione ha portato, proprio negli ultimi giorni,  ad elaborare un piano senza precedenti condiviso tra FMI, OMS, Banca Mondiale e WTO con l’obiettivo di vaccinare il  30% della popolazione in tutti i paesi entro la fine del 2021, che potrebbe diventare il 40% grazie ad altri investimenti ed accordi separati, e almeno il 60% entro la prima metà del 2022.

A proposito di distribuzione globale dei vaccini,  peraltro, non è fuori luogo ricordare  un altro vulnus nella lotta contro la pandemia:  la mancanza, in questi paesi,  di infrastrutture per il tracciamento, che non consente sempre di sapere quali varianti siano localmente più diffuse e quindi contro cosa si debba vaccinare, come spiega bene un recente commento sulla rivista Science ricostruendo un caso di diffusione di contagio dal Camerun a diversi paesi Europei.

Benchè queste considerazioni possano apparire una digressione, abbiamo voluto affrontarle in quanto il problema del vaccino ai giovani è stato posto in contrapposizione alla vaccinazione globale.  Come scienziate, il nostro compito è fornire le basi scientifiche e cercare di spiegare le motivazioni che sottendono le decisioni delle agenzie che vigilano sull’approvazione dei farmaci e vaccini. Pertanto non possiamo non valutare dal punto di vista scientifico anche considerazioni di ordine psicologico e sociale che possono ripercuotersi sulla campagna vaccinale.

  • I dati: il vaccino Comirnaty (Pfizer/BioNTech) è sicuro ed efficace anche nei ragazzi dai 12 ai 15 anni

Vediamo ora come si è arrivati all’approvazione del vaccino Comirnaty di Pfizer/BioNtech, l’unico ad oggi autorizzato per i ragazzi tra i 12 e i 18 anni. Una recente pubblicazione sul New England Journal of Medicine riporta i dati di sicurezza ed efficacia del vaccino su un gruppo di 2260 adolescenti tra 12 e 15 anni di età, tra ottobre 2020 e gennaio 2021, assegnati per circa il 50% al gruppo ricevente il vaccino oppure al placebo. Il vaccino si è dimostrato molto ben tollerato in questa fascia di età, con effetti collaterali lievi-moderati, essenzialmente: dolore nel sito di iniezione, mal di testa, stanchezza.

Lo scopo primario del trial clinico era valutare se ci fosse una diversa immunogenicità in questa fascia di età rispetto alla fascia 16-25 anni. I dati sul titolo degli anticorpi neutralizzanti – quelli che impediscono il legame del virus alle nostre cellule – sono risultati addirittura migliori; è stata, infatti, registrata un’efficacia del 100% del vaccino nel prevenire la malattia negli adolescenti, poichè nel gruppo ricevente il vaccino non si è avuto nemmeno 1 caso di Covid-19, contro i 16 riscontrati nel gruppo che aveva ricevuto il placebo dopo la seconda dose a 3 settimane dalla prima. Anche la copertura vaccinale dopo la prima dose si è rivelata efficace: solo 3 casi di Covid-19 registrati a 11 giorni dopo la prima dose di vaccino, contro i 12 del gruppo placebo.  Una limitazione di questo studio è che il limitato numero di partecipanti non ha consentito di rilevare eventi avversi rari. L’EMA – e a seguire AIFA – hanno dunque ritenuto che i benefici della vaccinazione superino i rischi anche in questa fascia di età, soprattutto in quei soggetti più esposti al rischio di sviluppare malattia grave (i bambini oncologici, ad esempio).

Pfizer ha iniziato già a fine marzo 2021 un trial clinico su bambini tra i 6 mesi e gli 11 anni di età.  Le prime dosi di vaccino sono già state somministrate a bambini nella fascia 5-11 anni. Seguiranno i bambini da 2 a 5 anni, poi da 6 mesi a 2 anni.

Moderna, in una conferenza stampa del 6 maggio, ha riportato i dati della sua sperimentazione chiamata “TeenCOVE”, che ha arruolato 3235 partecipanti tra i 12 e i 17 anni e attende ora l’approvazione da FDA ed EMA per questa fascia di età. I primi dati relativi all’efficacia e sicurezza del vaccino sono sovrapponibili a quelli ottenuti col vaccino Comirnaty di Pfizer/BioNtech, con un’efficacia del 96% nei soggetti riceventi una dose di vaccino. Anche Moderna sta eseguendo una sperimentazione (KidCOVE) in bambini dai 6 mesi ad 11 anni.

  • Ma allora, il vaccino negli adolescenti è utile o no?

Alcuni sostenitori dell’inutilità del vaccino per gli adolescenti si rifanno al fatto che le manifestazioni cliniche della COVID-19, per chi la contrae in questa fascia di età – e nei bambini – sono generalmente molto lievi. Tuttavia, come abbiamo detto in apertura, manifestazioni gravi si possono estrinsecare nella MIS-C.

Inoltre, occorre chiarire un aspetto che può apparire controverso.

Da un lato, è vero che i giovani, avendo complessivamente una minore probabilità di sviluppare sintomi severi rispetto ad altre classi di età, hanno un minor beneficio individuale a vaccinarsi. Tuttavia, nota l’ECDC, il centro di controllo e prevenzione Europeo, questo beneficio relativamente minore va valutato

  •  rispetto alla reale incidenza dell’infezione di Sars-Cov- 2 e al rate di contagio in particolari aree
  •  tra particolari gruppi a rischio di contrarre la malattia severa (ad esempio, tra i giovani pazienti oncologici, immunodepressi o portatori di altre condizioni predisponenti).

In una efficace infografica, l’ECDC vuole allertare su due aspetti che avrebbero possibili conseguenze a lungo termine se i ragazzi non venissero vaccinati.

Il long COVID. Il primo aspetto è il rischio del long COVID, una condizione che stiamo imparando a conoscere, dopo un anno di pandemia, definita da sequele persistenti dopo la guarigione, che possono coinvolgere i sistemi cardiovascolare, neurologico, renale e respiratorio (una trattazione abbastanza completa del long COVID è pubblicata sul sito dell’Istituto Superiore di sanità). Non avendo, ad oggi, ancora chiuso la finestra di osservazione, è evidente che le sequele del long COVID rappresentano un rischio particolarmente preoccupante tra gli adolescenti e i giovani. 

I focolai di contagio. Il secondo aspetto è rappresentato dal fatto che i ragazzi, che sembrerebbero generalmente resistenti al contagio, probabilmente per l’attivazione dei meccanismi della risposta immunitaria innata, particolarmente efficaci in giovane età (come era stato già documentato in risposta ad altri virus a RNA che infettano le vie respiratorie), in realtà hanno la stessa carica virale degli adulti e dunque sono essi stessi una fonte di contagio. Un esempio è il recente focolaio di 35 ragazzi positivi alla variante inglese del virus in provincia di Catania, che ha reso il paese di Santo Stefano di Quisquina zona rossa. Se i bambini ed i giovani possono essere infettati in modo asintomatico, dobbiamo preoccuparci in modo serio della circolazione del virus nella popolazione, tenendo conto della sua capacità di adattarsi mutando e generando varianti che non farebbero che prolungare ulteriormente lo stato di vulnerabilità della popolazione.

Già, le varianti. Una buona ragione per vaccinare più individui in tutte le fasce di età è appunto limitare la diffusione delle varianti. Ancora una volta l’allarme viene dal Regno Unito, dove la variante indiana (tecnicamente, la B.1.617.2) ha “peso possesso” del nord-ovest del Paese, in quartieri dove l’adesione alla campagna vaccinale è stata moderatamente bassa. A sostenere i nuovi focolai sono persone con età media bassa, mentre chi ha completato il ciclo di vaccinazione sembra risparmiato dall’infezione. Come la variante sud africana, anche quella indiana riesce in qualche modo a sfuggire – seppur in modo non così drammatico – alla nostra sorveglianza immunitaria, sia nelle persone vaccinate che nei pazienti ex-Covid. Limitare la diffusione di queste e possibilmente di nuove varianti – che, per definizione, saranno più contagiose delle precedenti poiché avranno evoluto mutazioni capaci di superare l’immunità già acquisita nella popolazione – appare una buona ragione per vaccinare tutte le fasce di età.  Bisogna togliere al virus più serbatoi possibili e la possibilità, in questi serbatoi, di mutare in specie più contagiose se non più aggressive.

  • Il libero arbitrio e la responsabilità sociale

L’assunzione che il vaccino tuteli essenzialmente la salute individuale è discutibile in un contesto pandemico o anche epidemico. Chi si vaccina fa da scudo anche a chi non può vaccinarsi per ragioni organiche e cliniche, come gli individui immunocompromessi o portatori di patologie gravi che rendono rischiosa l’immunizzazione.

Lo scopo di ogni scienziato è, come dicevamo, informare, fornire elementi scientifici certi e il più possibile completi, in un linguaggio semplice, in modo che ognuno possa decidere, liberamente, in coscienza, non solo della sua salute, ma anche, tenendo presente le caratteristiche di questo momento storico, di quella della comunità.  Vogliamo quindi ricordare la non obbligatorietà del vaccino. Questo concetto dovrebbe essere alla base di ogni ragionamento, anche di chi ha dubbi e reticenze nei confronti della sua somministrazione ai più giovani. Vaccinarsi è una libera scelta (nel caso dei minori, dei loro genitori).  In questi giorni non è superfluo ricordare che il libero arbitrio deve essere esercitato dopo avere preso reale conoscenza di tutti i rischi e di tutti i benefici dell’alternativa di vaccinarsi e di non vaccinarsi.

Vogliamo anche ricordare quello che Anthony Fauci definì, un anno fa, in uno dei suoi discorsi più importanti, il dovere della responsabilità sociale di ognuno nei confronti degli altri

Solo tenendo contro di tutte le componenti si può esercitare responsabilmente il libero arbitrio.

Di Barbara Illi e Patrizia Lavia
Istituto di Biologia e Patologia Molecolari, CNR di Roma