Diritti e Doveri

Sanitari no-vax: legittima la sospensione senza stipendio del lavoratore che rifiuta il vaccino

13 Settembre 2021

Di Marianna Rillo, ufficio legale Club Medici.

Con il decreto legge n.44[1] tutti gli operatori sanitari sono stati obbligati alla vaccinazione anti-Covid. Questo ha scatenato indubbiamente disordine e confusione. Da una parte c’è chi è favorevole all’obbligo vaccinale, dall’altra c’è chi parla di “dittatura sanitaria” e nel mezzo si collocano coloro che, non necessariamente no-vax, sono semplicemente confusi e spaventati.

Con le nuove misure urgenti per il contenimento dell’epidemia, sono molti i provvedimenti che impattano negativamente su medici, infermieri e operatori socio-sanitari non ancora vaccinati, i quali iniziano ad essere demansionati o sospesi non solo dall’attività ma anche dello stipendio. Assistiamo così alla corsa disperata alla vaccinazione di chi non vuole perdere il lavoro, mentre c’è chi, fermo sostenitore del vaccino come scelta libera e del tutto personale, ancora continua a sottrarsi.

Tutte le strutture sanitarie hanno dovuto inviare alle Regioni gli elenchi dei nominativi dei dipendenti proprio al fine di verificare l’avvenuta vaccinazione obbligatoria. Ma la procedura presenta numerose difficoltà, legate sia alla necessità di revisione degli elenchi (non sempre completi di quei dati necessari per l’attuazione della procedura di verifica), sia alla tutela della privacy del lavoratore, vista la mancanza nel nostro ordinamento di una disposizione di legge che imponga al dipendente di fornire informazioni circa il proprio stato vaccinale. Sul punto, è intervenuto il Garante della Privacy[2], il quale ha chiarito che il trattamento dei dati personali, anche relativi alla vaccinazione dei dipendenti, può essere effettuato solo dal medico competente[3], ma ciò deve comunque avvenire alle condizioni stabilite dalla richiamata disciplina di settore in materia di sicurezza sul lavoro.

Ma è eticamente e giuridicamente legittimo dissentire da una simile misura?

La questione è di enorme portata e non può di certo esaurirsi sul piano giuridico, date le evidenti e prioritarie implicazioni scientifiche, sanitarie e bioetiche. Ciò non toglie che il dato giuridico possa comunque fornire degli importanti spunti di riflessione.

Partiamo con l’analizzare quanto stabilito dal decreto n. 44, nello specifico quanto introdotto dall’art.4[4] circa l’obbligatorietà alla vaccinazione per alcune categorie di lavoratori, al fine di contenere la diffusione del contagio dal virus. La vaccinazione è qui prevista come “requisito essenziale” per tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza nell’erogazione delle prestazioni di cura e assistenza. Il decreto è stato poi convertito nella legge n.76 del 2021, rispettando così il dettato dell’art 32 della Costituzione, secondo il quale “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”. A questo però dobbiamo aggiungere che il datore di lavoro deve adottare e garantire tutte le misure necessarie per tutelare la salute e la sicurezza dei dipendenti e dei terzi, art. 2087 c.c.

Per cui se il lavoratore rifiuta il vaccino, e il medico competente ritiene che per questo sia inidoneo alla mansione, il datore di lavoro deve innanzitutto verificare se è possibile adibire il lavoratore ad altra mansione che non preveda l’esposizione al rischio di contagio e se tale verifica dà esito negativo, può sospendere il lavoratore senza retribuzione.

L’unica ipotesi in cui la vaccinazione può essere omessa o differita è prevista in caso di accertato pericolo per la salute, in presenza di specifiche patologie documentate, attestate dal medico di medicina generale.

Il primo provvedimento in tal senso risale al 19 marzo 2021, quindi prima dell’entrata in vigore dell’obbligo vaccinale per i sanitari. Il Tribunale di Belluno, in particolare, ha ritenuto per la prima volta legittima la decisione di una struttura sanitaria che aveva posto in ferie forzate alcuni operatori no-vax. Nello stesso verso, si sono espressi poi i Tribunali di Verona[5], Trento[6] e Modena[7]. Quest’ultimo, cita a tali fini la direttiva europea n.739, che nel giugno 2020[8] ha incluso il Covid tra gli agenti biologici contro i quali è necessario tutelare gli ambienti di lavoro[9]. Da qui il dovere del datore di lavoro di tutelare il personale dal rischio Coronavirus, contro il quale – ormai è chiaro, ma il giudice lo precisa ugualmente- “la mascherina non basta più come misura di protezione”.

La giurisprudenza, quindi, è univoca: la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione, non costituisce un provvedimento disciplinare per il rifiuto di sottoporsi al vaccino, ma è un legittimo provvedimento che il datore può adottare nel caso in cui non sia possibile assegnare al lavoratore altre attività non a contatto con dipendenti o terzi.

In conclusione, nel giudizio di bilanciamento dei contrapposti interessi, la posizione del singolo individuo che si sottrae alla vaccinazione è recessiva rispetto all’interesse pubblico.  E in ciò, la soluzione appare ragionevole, atteso che, ad oggi, il vaccino sembrerebbe lo strumento più efficace per sconfiggere il Covid e la libertà di ciascuno di non vaccinarsi trova un limite nel diritto altrui a non essere contagiato.

Restano però alcuni elementi ancora critici. Esemplificativamente, nel caso specifico del vaccino anti-Covid, l’esigenza di garantire la tutela dell’interesse collettivo può davvero essere utilizzato come argomento per l’introduzione dell’obbligatorietà di un trattamento sanitario per cui esistono ancora molti dubbi anche sul piano scientifico?

Si consideri innanzitutto che, se da un lato, la Corte europea dei diritti dell’uomo si è recentemente espressa in senso favore alla vaccinazione anti-Covid[10], dall’altro, il Consiglio d’Europa ha individuato quello della “necessità” quale imprescindibile criterio per la valutazione dell’obbligatorietà di un trattamento sanitario. Si parla di necessità come extrema e ultima ratio, attuabile solo quando l’obiettivo non sia perseguibile in nessun altro modo. Ma siamo proprio sicuri che il vaccino anti-Covid sia davvero idoneo al raggiungimento dell’obiettivo e in questo senso “necessario”?

La Corte Costituzionale, nel corso degli anni, è arrivata anche a indicare una serie di principi in presenza dei quali si può introdurre un obbligo vaccinale.

La Corte sostiene che:

  • debba esserci un sufficiente grado di certezza, intesa come ragionevolezza scientifica, che la vaccinazione sia efficace nel proteggere il ricevente;
  • il trattamento deve dimostrarsi efficace al fine di impedire il contagio (c.d. immunità sterilizzante) e non deve implicare alcun rischio di danno grave alla salute di chi vi è assoggettato, risultando accettabili solo postumi lievi e di breve durata;
  • debbono essere previsti sistemi di equo indennizzo per i casi del tutto residuali di lesioni apprezzabili.

Fermo restando quanto affermato fin ora, occorre precisare che gli esperti, medici oltre che scienziati e statistici, hanno espresso numerosi dubbi circa le polite sanitarie di gestione dell’epidemia, le quali risulterebbero addirittura controproducenti, per non parlare dei prodotti vaccinali attualmente in uso. I nuovi preparati, come si evince dalle relative schede tecniche e dalle numerose indicazioni AIFA ed EMA, non sono tecnicamente comparabili ai “tradizionali” vaccini a base microorganica/antigenica[11], (anche per questo si tratta di prodotti sottoposti a monitoraggio addizionale, soggetti ad una autorizzazione condizionata, rispetto alla quale sono stati fissati diversi termini di verifica). È reso noto poi, che per la loro approvazione e autorizzazione all’immissione in commercio (come si è detto: condizionata), sono state adottate derogatorie procedure speciali, estremamente rapide, se confrontate con gli standard ordinari per tutti gli altri vaccini, i quali normalmente prevedono invece una durata di 10-15 anni[12]. Peraltro occorre sottolineare che questi termini comunque abbreviati di sperimentazione, al momento non sono nemmeno decorsi, ed è questa una delle ragioni per cui risulta che finanche l’EMA abbia espresso parere negativo alla generale obbligatorietà del vaccino anti-Covid, come estesa a tutti i cittadini a prescindere dall’età e dal settore professionale di appartenenza. Quanto poi all’efficacia dei vaccini a produrre la c.d. immunità sterilizzante (questione fondamentale per giustificare l’obbligo), anche la portavoce dell’OMS, Margaret Harris, ha ribadito la situazione di incertezza.

Senza considerare che sono gli stessi produttori dei vaccini, a dichiarare espressamente che non si ha sicurezza circa l’interruzione della catena di contagio. Avvertenza poi ripresa e pubblicata sia da EMA che da AIFA nelle proprie note informative (che infatti concludono avvisando che “i vaccinati e le persone che sono in contatto con loro devono continuare ad adottare le misure di protezione anti Covid-19”).

Dunque, tra le tante notizie che riportano dati quali, ad esempio, – 96% di terapie intensive e decessi in caso di doppia dose di vaccino (report dell’ISS), ci sono anche tante opinioni discordanti che addirittura considerano vano il sacrificio.

Non essendoci, ancora, una conclusione definitiva né sull’efficacia, sia in termini di protezione personale che di impedimento del contagio, né sulla sicurezza dei suddetti farmaci, parrebbero mancanti i requisiti di necessità indicati dal sistema sovranazionale, così come quelli fissati dal giudice costituzionale, per poter introdurre l’obbligo al vaccino anti-Covid.

Ci si rende conto che una conclusione di questo tipo può apparire eccessivamente tranchant, anche perché gli interessi sottesi all’art. 32 Cost. (vale a dire, quello del privato alla libera scelta del trattamento sanitario cui sottoporsi e quello all’incolumità pubblica) sono entrambi meritevoli di massima valorizzazione. Ecco perché, in via alternativa, sarebbe parso preferibile optare per un sistema di ragionevole compromesso, in cui legare l’obbligatorietà del vaccino ad una attenta valutazione della fattispecie, guardando all’effettivo grado di rischio che le concrete attività comportano. Ad esempio, distinguendo tra quelle realtà lavorative che per quanto sanitarie, non contemplano uno specifico rischio da agente biologico Covid, dette a mero rischio generico, e quelle a rischio specifico che invece lo prevedono, come nel caso dei sanitari impiegati in prima linea nei c.d. reparti Covid. In questo modo la regola dell’obbligatorietà sarebbe, probabilmente, risultata più proporzionata alle effettive esigenze di contenimento del virus, e ciò avrebbe fatto percepire le sospensioni disposte a danno dei lavoratori dissenzienti maggiormente giustificate anche sul piano etico.


[1] Decreto legge n.44 del 1° aprile 2021, convertito nella l.n.76/2021
[2] Provvedimento del 22 luglio 2021, avente ad oggetto l’ordinanza n.75 del 7 luglio 2021 della Regione Sicilia
[3] Art.9 lett.h; e 3 del Regolamento GDPR, anche art.2-sexies comma2, lett.u del Codice in materia di Protezione dei Dati Personali
[4] L’art.4 prevede “disposizioni urgenti in materia di prevenzione del contagio da Sars-Co2 mediante previsione di obblighi vaccinali per gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario”.
[5] Ordinanza del 24 maggio 2021
[6] Ordinanza dell’8 luglio 2021
[7] Ordinanza del 23 luglio 2021
[8] Direttiva UE n.739 del 3 giugno 2020
[9] V. art. 2087 c.c.
[10] La Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo, ha respinto un ricorso presentato da 672 vigili del fuoco professionali e volontari, contro la legge francese che impone loro l’obbligo di essere vaccinati contro il Covid-19
[11] Essendo sostanzialmente progettati su meccanismi di stimolazione genetica per effetto di introduzione di m-RNA o DNA nell’organismo ricevente
[12] Report PACE