Cultura è Salute

Curare i ricordi
di SEBASTIANO CASTELLANO

Fabrizio Benedetti, docente di Fisiologia Umana e Neurofisiologia all’Università di Torino, ha raccolto in volume una selezione delle storie di vita che ha ascoltato dai malati come parte integrante del percorso di cura. Ha scelto quelle più adatte a illustrare la complessità dell’interazione tra la persona, il suo cervello e la sua storia. Raccontandole, ci accompagna a investigare i misteriosi meccanismi mentali e la potenza esplicativa e terapeutica delle parole.

Sonia e il ricordo

Il primo racconto è il più significativo per la molteplicità dei livelli narrativi. È la storia di Sonia. Come tutte le storie sollecitate da un curante ha doppia funzione: informare sul malato e sulla malattia, connotare la relazione di cura. È, quindi, anche la storia del professore.

Il professore segue Sonia da dodici anni, da quando si sono manifestati i primi segni di demenza vascolare. Dopo aver introdotto la malata di demenza, spiega cos’è la demenza. Farà lo stesso ogni volta che ci sarà da chiarire qualche nozione di fisiologia o di patologia del sistema nervoso. Concreti esempi di come la narrazione, inserendo il sapere nell’esperienza, sia del sapere uno dei più efficaci veicoli di trasmissione.

La demenza vascolare, spiega Fabrizio Benedetti, distrugge i neuroni e di conseguenza impoverisce l’attività mentale. I quadri clinici che ne derivano sono diversi a seconda delle aree cerebrali interessate. Sonia ha progressivamente perso la capacità di ritenere quello che sente o vede. Non sa trasformare la più semplice delle esperienze in ricordo. Per qualche tempo conserva in parte la capacità di attingere a ricordi di tempi precedenti la malattia. Non ha infatti difficoltà a parlare del suo passato lavoro di giornalista. Con molta precisione ricorda anche episodi di vita insieme alla figlia Martina, affetta da una rara sindrome respiratoria congenita. Nei bambini come Martina respirare non è funzione automatica, ma azione della volontà. Da svegli si provvede con atti respiratori provocati, ma dormire è un problema e bisogna intervenire con adeguati e impegnativi espedienti.

La malattia di Sonia progredisce. Tra le disabilità connesse alla patologia ne manifesta una legata proprio alla persistenza della memoria a lungo termine. Nella scomposta architettura neuronale il ricordo dell’incidente in cui, quarant’anni prima, la figlioletta di sette anni precipitò dalla scogliera, si lega in modo indissolubile al senso di colpa. Per tutta la vita Sonia ha provato un certo senso di colpa per la constatazione, inevitabile, che senza l’impegno diurno e notturno per Martina, per lei si apriva una prospettiva nuova di vita e di carriera. Il pensiero razionale e la necessità di fare fronte alle esigenze del vivere avevano tenuto sotto controllo il conseguente malessere. Ma nel cervello in disfacimento gli antichi ricordi affiorano in disordine e con disperata insistenza. Due ricordi distinti si mescolano e si saldano formandone un terzo. Non reale ma ben saldo. Le narrazioni diventano confuse. Sonia ha crisi di irritazione in cui si accusa di aver provocato la caduta della figlioletta con un movimento brusco del braccio destro. Alla sofferenza mentale si aggiungono posture rigide, agitazione e altri disturbi fisici. Il professore che la incontra di frequente, la osserva con attenzione e, quando Sonia riesce a esprimersi, l’ascolta. Ricorre a svariate tecniche e tecnologie di indagine. Adotta le terapie del caso. Vorrebbe capire cosa c’è di vero nel suo racconto e liberarla dalla sofferenza fisica e mentale. Va nel paese dove accadde il fatto e si sofferma sulla fatale scogliera. Forse lì, sulla scogliera, escogita un altro impiego della narrazione: rimpiazzare il ricordo della vita vissuta con una nuova rappresentazione dei fatti. Ricostruisce e stampa come fosse un articolo di giornale una versione verosimile e pacificante dell’antico incidente. Con metodo e pazienza aspetta che le immagini evocate dalla nuova storia giungano alla caotica fonte della disperazione di Sonia e facciano dimenticare l’immagine, forse travisata, del passato.

Le parole riescono dove le terapie hanno fallito. Sonia, quando capisce, si impossessa del foglio che contiene il ricordo a cui vuole aggrapparsi. Lo stringe al petto e non se ne stacca mai. Dopo, non ha crisi, non ha male, non si dispera più.

Magda e la nozione di coscienza

La prima parte della storia di Magda è in forma di testimonianza davanti a un giudice. Magda è convinta che, durante l’intervento a cui era sottoposta, l’anestesia si sia trasformata in una specie di dormiveglia. Ha così potuto sentire un chirurgo ammettere di aver compiuto una manovra errata, causa diretta della morte di un’altra paziente. Ha davvero sentito quelle precise parole? Oppure nel risveglio postoperatorio ha percepito vaghi accenni a un incidente in sala e nel sogno li ha ricomposti in una trama? Ne viene un racconto non sufficientemente accurato. Troppo vaghe le risposte alle domande sotto giuramento per escludere ragionevoli dubbi e convincere la giuria.

In seguito partecipa a una ricerca del professore volta a definire che cosa, concretamente, debba intendersi con ‘avere coscienza di qualcosa’. Uno dei temi più interessanti rimanda ai racconti, diversi e perfino contradditori, che possono derivare dalla medesima realtà. Nel nuovo contesto, con un interlocutore medico, non avvocato di parte né giudice, Magda compone un racconto più articolato. Descrive particolari prima tralasciati che indicano con certezza la sua presenza consapevole in quella circostanza. Tanto da far presumere che la verità processuale, ciò che è stato deciso dalla giuria, non rispecchi quello che veramente è accaduto.

Confrontando i dati degli esami con ciò che è emerso dall’introspezione narrativa, la conclusione del professore è “possiamo essere sicuri che una persona è cosciente non sulla base dell’attività del cervello ma solo se ha la capacità di descrivere la realtà intorno così com’è. La coscienza rimane dunque in un certo senso indescrivibile.

Andrea e Genny e il concetto di realtà

Le storie intrecciate di Andrea e Genny portano a chiedersi che cosa sia davvero la realtà, interrogativo già emerso nelle storie precedenti. Ci sono naturalmente i fatti che accadono nelle definite circostanze storiche. Ma in che modo ciascuno configura la realtà che lo circonda e in cui si muove e decide? È determinante la funzione del sistema limbico, un gruppo di aree disposte ad anello intorno al tronco cerebrale. Alcune hanno un ruolo nel modulare le emozioni, vale a dire nell’elaborare l’esperienza. Se aree del sistema limbico sono stimolate in via sperimentale oppure alterate da patologie o da sostanze stupefacenti si attenua o scompare il confine che separa le sensazioni fantastiche dalla percezione sensibile della realtà. Le storie che i due giovani raccontano al professore che li ha in cura descrivono un mondo che esiste solo nella loro immaginazione modificata dall’assunzione di stupefacenti. Per loro è il mondo reale a cui fanno riferimento per decidere e agire.

Il cervello, commenta il professore, è forse la struttura più complessa dell’universo, fatta di atomi, molecole, cellule, sensazioni, teorie e poesie. E sono per noi ancora un mistero le leggi da cui questa porzione di universo è governata.

Marcus e il senso di colpa

Marcus è fuggito da Srebrenica dopo la carneficina dell’11 luglio 1995. Ha bisogno di raccontare e il suo racconto è fedele ai fatti e alla sofferenza. Ma, nonostante la drammatica intensità, è un racconto di superficie. Dice molto, ma non dice tutto. C’è un resto che non riesce a emergere, perché Marcus non lo sa elaborare. Marcus non vuole svelare come, tantomeno perché, punisce la colpa di essere sopravvissuto. Per entrare nel suo profondo e guarire la patologia al medico non basta la disponibilità ad ascoltare con attenzione, proprio come non bastano i farmaci appropriati. Entra letteralmente lui stesso dentro la storia e da dentro la storia pensa i pensieri di Marcus. Come altre volte, sperimenta che, nell’anamnesi come nella terapia, non è sempre possibile conoscere la verità e difficile è restarvi fedele.

Conclusione

Ascoltando Sonia e gli altri malati si viaggia nella complessità del cervello e delle sue funzioni e si sperimenta congiuntamente la necessità e la difficoltà di penetrare il mondo interiore dei malati. Un ragionevole dubbio è necessario alleato quando si ha a che fare con la storia intima delle persone.