Cultura è Salute

La vela è terapia?
di ANACLETO REALDON

25 Marzo 2022

Il mare è un farmaco che cura sedici malattie, (le hanno contate!), dalle allergie respiratorie al rachitismo. E la vela? “La vela è la mia terapia“. È quasi una battuta, un detto sempre più frequente tra velisti e aspiranti tali. “La vela è una passione folle“. Altra verità di cui si disserta tra gli addetti e non. La vela, dunque, non cura la malattia, ma la determina. Quale sarà la verità?

Si favoleggia su chi, partito in barca a vela dal nostro malconcio mondo occidentale, malato di cancro, si sia trovato guarito una volta arrivato in Polinesia. Quindi si spazia dalla più grave malattia fisica alla più grave malattia psichica. Qui potrei essere tentato a inserire una divagazione professionale sull’interconnessione tra mente e corpo, ma ve la risparmio. Dico solo che anche la vela, come tutte le passioni, può essere sia una terapia che una malattia.
A suo tempo ho pensato che la vela mi abbia salvato dalla schizofrenia, all’epoca in cui li frequentavo quotidianamente gli schizofrenici, lavorando in manicomio.
Poi mi ammalai di cancro, una prima e una seconda volta. Dal primo tumore, di quasi trent’anni fa, dovrei essere guarito, con il secondo convivo da oltre dieci anni. Il mio convivente attuale si chiama, in gergo tecnico, “linfoma indolente”. La sua indolenza è legata alla sua straordinaria benignità, alla sua scarsa aggressività. Un’indolenza infida in un tumore che, paradossalmente, tanto più è “benigno” quanto meno è curabile…

Infatti i medici, a proposito del primo, maligno, mi dicevano: «Il tuo tumore è tra i più aggressivi, ma proprio per questo è anche tra i più curabili perché risponde meglio ai nostri farmaci altrettanto aggressivi». Ora ci convivo bene, con questo secondo. È indolente, ma non insolente.
Mi permette una qualità di vita niente male, che non ho mai raggiunto prima. Vivo di vela trecentosessantacinque giorni l’anno. Vela navigata per un semestre, vela pensata per l’altro. Per la mia malattia non seguo alcuna terapia: l’unica terapia cui mi sottopongo, ad alto dosaggio, è quella della vela. Vivere di vento, sole e mare in una casa galleggiante tra le più instabili e scomode, una sfida e una scommessa che giochi con te stesso e la tua barca, da solitario o con un equipaggio.
Una malattia indolente che mi spinge a vivere con la minor indolenza possibile, ad affrontare con coraggio e allegria i marosi dell’esistenza. Sono un ultrasettantenne che, grazie alla malattia, vive una vita piena (anche di rischi), un lusso che non potevo permettermi da ventenne sano.

Una vita per la vela diventa allora una vela per la vita.

da “Il pensionauta folle”