L'intervista Cultura è Salute

Giardini terapeutici: il verde che cura
di ANDREA MATI

24 Ottobre 2023

Spazi verdi per migliorare le condizioni di salute e per il recupero di persone affette da diverse patologie.  Sono i “giardini terapeutici”, che sempre più spesso si integrano alle cure tradizionali mediche e psicologiche. Nel 2024 a Cesena sorgerà il primo giardino terapeutico in Italia per malati di Alzheimer all’interno di uno spazio urbano pubblico. A firmare il progetto è Andrea Mati, massimo esperto nazionale in giardini terapeutici e docente al master in Orticoltura terapeutica dell’Università di Bologna, che ha rilasciato questa intervista per “La voce dei medici” e che a gennaio parteciperà al primo meeting nazionale di “Cultura è Salute” di Club Medici.

Partiamo proprio da Cesena, dove nei prossimi mesi sarà realizzato il primo giardino terapeutico in Italia per i malati di Alzheimer all’interno di uno spazio urbano pubblico. Ci racconta meglio di questa iniziativa?

L’iniziativa nasce su impulso della Fondazione Maratona Alzheimer insieme ad Anap Confartigianato ed il Comune di Cesena. Quando sono stato coinvolto in questo progetto, la loro idea era quella di realizzare il giardino all’interno del centro storico di Cesena, un luogo molto bello, per promuovere un lavoro d’integrazione tra le persone colpite da Alzheimer e la comunità locale. Il verde è diventato il perno attorno al quale fare rete ed inclusione, coinvolgendo gli ammalati all’interno del nucleo vitale della città. Mi è sembrata da subito un’iniziativa splendida perché è rarissimo imbattersi in chi è aperto mentalmente verso la malattia con l’obiettivo di integrare chi è meno fortunato; si tratta pertanto di un progetto estremamente innovativo ed interessante con una nobile filosofia di base, quella di “comunità amica”. Ho progettato un giardino con all’interno una serie di piante diverse in grado di suscitare nella persona una serie di ricordi positivi quindi il concetto è quello di spazio verde come stimolo costante di ricordi, una sorta di “giardino della memoria” sia per chi è affetto da Alzheimer sia per chi più in generale frequenterà questo spazio. Con il massimo rispetto per le persone colpite da questa durissima malattia, grazie anche alla presenza di caregiver e familiari che vigileranno su di loro, vogliamo accendere i riflettori su questi pazienti, mostrando al resto della comunità chi sono e cosa fanno per non ghettizzarli, ma anzi farli sentire al centro della comunità.

Da “luogo verde” a “luogo di cura”. Come avviene questo passaggio?

I giardini terapeutici non sono dei giardini tradizionali: se in generale frequentare spazi verdi fa bene alla salute, in questo caso specifico parliamo di veri e propri luoghi di cura, con caratteristiche funzionali a seconda della patologia che andiamo a trattare. Il ruolo dell’orto terapeuta è perciò cruciale: all’Università di Bologna sono docente al master in Orticoltura terapeutica, c’è bisogno di formazione specifica, di figure ad hoc che abbiano una conoscenza profonda di questi argomenti. Quando s’individua il luogo per la creazione di un giardino terapeutico, prende vita un lavoro sinergico tra diverse figure professionali che indicano quali caratteristiche dovrà avere il giardino oppure quali tipologia di piante scegliere in base alla patologia da curare. Dal geriatra, allo psichiatra fino allo psicologo la presenza di un medico è fondamentale nella fase di progettazione perché ci confrontiamo con un professionista che conosce a fondo la patologia e le sue caratteristiche.

La natura come terapia o anche come prevenzione? 

I giardini terapeutici sono fondamentali anche nella prevenzione di patologie come autismo, sindrome di down, dipendenza da alcol, stupefacenti o dal gioco, ma anche ansia, depressione e disturbi alimentari; sto lavorando ad una serie di nuovi progetti che realizzerò nel 2024 come il giardino “eco centrico” dove la natura è posta al centro. Questi spazi sono luoghi dove si lavora per riconnettersi con la natura e soprattutto i giovani vengono coinvolti in attività diverse: a riconoscere le tracce degli animali, le piante, i frutti, il valore dell’acqua e degli elementi naturali, ma anche sapere accendere o spegnere il fuoco o riconoscere le stelle. Tutto ciò che ci porta a riconnetterci con i luoghi naturali, aiuta a prevenire moltissime patologie; sempre di più i medici si stanno orientando verso questa filosofia perché già da quando si è piccoli si può fare molto per la propria salute sia fisica che mentale. Facciamo ad esempio coltivare gli orti ai bambini per insegnare loro la qualità dei prodotti di cui si nutrono: è un’educazione ad essere connessi con la natura e ad essere maggiormente consapevoli. Privilegiare un’alimentazione sana e sapere cosa mangiamo è un inno alla salute e alla tutela di sé stessi; questo cerco di trasmetterlo sia ai bambini che agli adulti. Inoltre un altro “esercizio” che trovo molto utile è quello per cui ognuno di noi dovrebbe impegnarsi a salvare la vita di una pianta: per questo ogni volta che intervengo ad un convegno o evento in Italia e all’estero, invito sempre tutti ad andare in un vivaio e comprare una pianta sofferente per salvarle la vita. Il gesto di curarla, di impegnarsi per salvaguardarla è una grande lezione di vita.

Lei è un pioniere nel campo dei giardini terapeutici e da anni crede fortemente in questi progetti. Quando ha capito che il verde poteva avere un ruolo fondamentale nel supporto e nel recupero delle persone?

L’ho capito già dalla fine degli anni ‘80 quando sono stato prima in una comunità di recupero per tossicodipendenti e poi è cominciata la mia lunga esperienza a San Patrignano, dove da decenni progetto e curo personalmente le aree verdi: è un’esperienza incredibile, che mi ha permesso di constatare da vicino quanto le persone con dipendenze o problemi psichiatrici gravissimi potevano migliorare, lavorando con il verde. L’influenza su queste persone era enorme perché avevano la possibilità d’interagire attivamente; non basta soltanto vedere un bel giardino, ma piuttosto fare un’esperienza rappresenta il vero punto di svolta.

Infine Lei parteciperà al primo meeting nazionale di “Cultura è Salute”, promosso da Club Medici, a gennaio 2024 con un focus sul tema “La Natura che cura”. Pensa che questo tema sia sufficientemente valorizzato o che ci sia ancora poca conoscenza?

C’è da lavorare moltissimo per spingere questi temi all’attenzione della comunità; ad oggi riscontriamo poca concretezza, anche a livello politico. Cerco di promuovere tutto questo anche attraverso il mio libro “Salvarsi con il verde”, dove mi piace sottolineare che tante piccole azioni concrete sono molto più efficaci di spot e facili promesse. Quante volte, ad esempio, sentiamo parlare di “piantare un milione di alberi”, di “recuperare gli spazi verdi” e poi sono progetti che muoiono sul nascere? Ritengo sia meglio partire da progetti anche piccoli, ma poi portarli avanti concretamente. Nel mio libro propongo la “rivoluzione del metro quadro verde”: ognuno di noi, mentre cammina, dovrebbe prendersi cura di un singolo metro quadro, ponendovi la massima attenzione e cura. Questo presuppone un nuovo rapporto con la bellezza del mondo che possiamo salvare nel nostro piccolo, a cominciare proprio da ogni creatura nel metro quadro intorno a noi.