9 Giugno 2025
del Prof. Massimo Lanzaro, psichiatra, psicoterapeuta e saggista
Ho trattato il tema della prevenzione delle psicosi in un articolo pubblicato proprio su “La voce dei medici” qualche tempo fa, qui, online. Chiedersi perché principalmente al Sud questa sfida non decolla è più che lecito ed attuale. A mio modesto avviso i primi due ostacoli, soprattutto per quanto concerne la salute mentale, sono di natura culturale e politica. Gli ostacoli culturali includono ovviamente lo stigma: mentre in America si “vantano” di andare dallo psichiatra, noi considerano la vulnerabilità psichica come un segno di debolezza, provocando tra l’altro discriminazione nei confronti di chi ne soffre. Questo può scoraggiare le persone dal cercare aiuto o discutere apertamente dei loro problemi. La scarsa comprensione delle malattie mentali e dei loro segnali può portare alla loro sottovalutazione (non me la sento di “prendermela” direttamente con i medici di base, che, oberati dei loro affanni, non riescono a svolgere il ruolo cruciale che in questo ambito competerebbe loro). E nemmeno con le scuole, che pure avrebbero un ruolo fondamentale.
Le persone possono trascurare i sintomi o più spesso non riconoscerli, e se anche il medico di medicina generale sorvola, la frittata è fatta. Senza contare che l’idea di chiedere aiuto può essere vista come un segno di fallimento nel mondo dell'”uomo che non deve chiedere mai”. Curiosamente fu Papa Bergoglio a dire che chiedere aiuto è un segno di forza e non di debolezza, se ben ricordo. A questo si aggiunge la presunta mancanza di risorse, di personale formato e di strutture adeguate (ma l’eccezione che dimostra il contrario e che la prevenzione è possibile è ad esempio il DSM di Modena o l’Ospedale di Niguarda a Milano: basta dare uno sguardo alla letteratura scientifica che hanno prodotto recentemente o leggere questo approfondimento.
Detto questo, vi rendo partecipi di un aneddoto personale: tempo fa ero stato convocato (in virtù del mio CV e con il beneplacito del Direttore del DSM) al tavolo tecnico regionale allestito per implementare e coordinare una rete di servizi interdipartimentale mirata alla prevenzione (per cui naturalmente sono stati stanziati cospicui fondi). Dopo aver partecipato a due riunioni, il sottoscritto non riceve più email di convocazione. Sempre più perplesso chiedo spiegazioni a destra e a manca ma sembra essere calato uno strano velo di silenzio. Qualche settimana dopo apprendo che il mio posto è stato preso da una persona che ha molti meno titoli ed esperienza di me, ma un appoggio politico di assoluto rilievo. Si pensi che sono stato primario per due anni In UK di un centro esclusivamente dedicato alla prevenzione (il “Jade Center” in Doncaster). Cosa fa la sanità nostrana? Invece di fruire delle esperienze e delle conoscenze di un ex cervello in fuga, che ha lavorato e fatto esperienza in centri d’eccellenza avanti di venti anni sul tema della prevenzione, se ne libera senza neanche avvisarlo.
Per carità: il punto non è il sottoscritto, lungi da me l’idea di lamentarmi o di supporre che avrei fatto miracoli e poi di sicuro ci sono mille altri problemi da risolvere. Sovviene però anche l’esempio dello scandalo che ha scosso la Sapienza di Roma, una delle più antiche e note università d’Italia. Nel caso denominato “parentopoli”, la moglie, la figlia e il figlio del Rettore della Sapienza sono riusciti a procurarsi posti di insegnamento prestigiosi pur non avendo le qualifiche richieste. Ma il peggio è avvenuto quando è emerso che il figlio del Rettore aveva superato l’esame di cardiologia davanti a una commissione d’esame composta da tre dentisti e due igienisti dentali. Personalmente comunque ho di meglio da fare che partecipare a lunghe e spesso noiose riunioni e sprecare le mie energie per migliorare una realtà che vuole a tutti i costi – pare – rimanere nella palude putrida e stagnante in cui si ritrova.