Cultura è Salute

“Ridere per vivere”, il potere del naso rosso
Intervista a LEONARDO SPINA

16 Febbraio 2021

È sempre più evidente l’utilità clinica della clownterapia nei bambini, negli adulti e nei pazienti anziani. I clown dottori sono diventati parte integrante dello staff negli ospedali. Ne parliamo con Leonardo Spina, presidente delle associazioni “Ridere per vivere” ed “Homo Ridens”.

Rappresentate due associazioni, complementari tra loro, che si occupano di clown terapia. Quali sono le differenze e che tipo di attività portate avanti?

La prima associazione si chiama “Ridere per vivere” ed interviene direttamente nei contesti ospedalieri; l’altra realtà è l’istituto “Homo Ridens”, che si occupa invece della parte di formazione e ricerca, un aspetto altrettanto fondamentale della nostra attività. Per noi infatti è molto importante rendere più scientifica possibile questa metodologia di lavoro, che è una disciplina a tutti gli effetti, e si chiama “gelotologia”. Il progetto è nato da una “disavventura” personale, che ha lasciato il segno nella mia vita ed in quella di mia moglie, Sonia Fioravanti, che si occupa insieme a me di terapia del sorriso: abbiamo superato nel 1988 una patologia tumorale e lo abbiamo fatto con la consapevolezza che le emozioni, attraverso dei meccanismi neuro immunitari, abbiano molto a che fare con la salute. È stata un’intuizione personale, sulla scia di quanto abbiamo vissuto, ma poi abbiamo approfondito e studiato questo nesso, tra emozioni e benessere, e da lì abbiamo intrapreso questo percorso. Ci siamo posti questa domanda: è possibile guarire da alcune malattie anche con la consapevolezza che le emozioni contano e sono importanti? Abbiamo iniziato quindi a studiare la P.N.E.I, che poi è la “mamma” della gelotologia, che ci consente di affermare questo: quando agiamo con emozioni positive, ridiamo e siamo felici, allora stiamo meglio. Il potere di un clown, di un naso rosso, è dunque quello di lavorare, attraverso la risata, anche per la difesa ed il sostegno del sistema immunitario. La base scientifica per noi è estremamente importante, la parte artistica è venuta dopo. Mia moglie è una psicoterapeutica, io vengo dal mondo del teatro ed ho portato dentro agli ospedali tutta la comicità racchiusa nella figura del clown.

Che tipo di riscontri avete avuto? In che modo la clown terapia supporta i pazienti durante i loro percorsi, spesso difficili e travagliati?

La clown terapia rappresenta una parte della gelotologia, ma da sola non esaurisce l’argomento. Nel momento in cui il clown, che è una figura molto diversa da quelle che operano quotidianamente all’interno dell’ospedale, arriva a contatto con il bambino, si crea una sorta di “sospensione” dalla vita reale. Il piccolo paziente vive una condizione di paura permanente, che si rispecchia anche negli occhi e nelle ansie dei genitori: per chi ha a che fare ogni giorno con la malattia, la figura del clown è quasi una boccata d’ossigeno. I clown dottori infatti si approcciano ai bambini per farli ridere e questo fortifica il loro sistema immunitario attraverso il rilascio di beta endorfine, che sono immunostimolanti, ed il valore di questa terapia è stato dimostrato anche con una ricerca scientifica nel 2006, pubblicata dall’Università di Oxford. L’apporto dei clown dottori è quindi in grado non solo di sistematizzare i parametri fisiologici dei bambini, ma ha permesso, in particolare nella chirurgia pediatrica, un abbattimento drastico delle complicanze post operatorie, oppure ha consentito di ridurre la somministrazione di farmaci antidolorifici. Insomma, a livello di benessere del paziente, ha dato riscontri molto significativi.

Lavorate soltanto con i bambini o vi occupate anche di pazienti adulti?

Ci occupiamo anche di adulti, ma in questo senso va fatta una distinzione: ci sono gli anziani, con i quali il contatto del clown è molto semplice poiché a quell’età si torna un po’ bambini, e con loro si fanno dei lavori straordinari sia nei reparti di geriatria, sia nelle case di riposo. Anche in questo caso i benefici sono stati evidenti, ad esempio sulle persone affette dal morbo di Alzheimer, che grazie al contatto con i clown dottori sono notevolmente migliorate. Poi ci relazioniamo con gli adulti in ospedale ed inizialmente non è sempre facile perché notiamo un po’ di scetticismo in questi pazienti: ma anche in questo caso basta trovare la chiave giusta. Esiste infatti una comicità più adulta, che fa allusione all’attualità e alla politica, e che alla fine strappa sempre un sorriso a chi ci sta di fronte e fa bene a tutti.

In che modo la pandemia ha inciso sul vostro lavoro?

Premesso che il Covid ha molto a che fare con la paura individuale, dunque sarebbe stato ancora più importante far ridere i pazienti per sdrammatizzare ed alleggerire una situazione così pesante, purtroppo non siamo più riusciti ad entrare negli ospedali. Questo è un peccato perché pensate al supporto che avremmo potuto dare anche allo stesso personale sanitario, così tanto sotto stress in questo momento; nella clown terapia sono coinvolti anche i dottori, che vengono bonariamente presi in giro o coinvolti attivate nelle nostre gag: anche loro ne traggono benefici enormi e riescono a prevenire meglio il rischio di burnout. Da qualche mese, per provare comunque ad andare avanti, proponiamo delle performance online, oppure mediante videochiamate, ma la freddezza del mezzo non consente di lavorare come prima. Questo è un lavoro basato sul contatto umano e tutto il resto è soltanto un blando palliativo.

Altro tema che vi sta molto a cuore è quello della formazione…

In Italia la clown terapia si è sviluppata attraverso due tipologie di figure professionali molto diverse: ci sono molte associazioni che fanno clown terapia con dei volontari, che sono persone con un cuore grandissimo, ma con una formazione pari a zero, e poi ci sono i clown dottori che hanno una formazione specifica e mirata. A mio avviso non ci si può improvvisare, per questo è nato l’istituto “Homo Ridens”. Secondo noi ci vogliono 600 ore di formazione, all’interno delle quali si sviluppa in modo importante la parte artistica, più tutta la parte che riguarda la psicologia e alla pedagogia, che è altrettanto importante. Naturalmente per le persone che fanno volontariato non è possibile fare tutte queste ore di formazione ed allora bisognerebbe diversificare le due figure: un conto è il professionista, che entra nelle camere di degenza, che segue i pazienti anche nelle situazioni più gravi, e un altro conto è la figura di “animatore-clown”, che fa un lavoro di gruppo prezioso, ma senza un approccio terapeutico.

Avete aderito al network di Club Medici “Cultura è Salute”. Possiamo considerare anche la risata una disciplina artistica che aiuta a stare bene?

La cultura è assolutamente sinonimo di salute e condividiamo pienamente lo spirito del vostro network. Finalmente ci si sta accorgendo di quanto arte e medicina siano correlate tra loro tanto che, in futuro, assisteremo sempre di più ad un riavvicinamento oggettivo tra scienza ed arte. Questi due mondi non sono in contrapposizione, ma semmai possono produrre una grande cooperazione. Il mondo si può conoscere da un punto di vista scientifico, ma anche da un punto di vista artistico ed entrambi i punti d’osservazione sono importanti. Nel nostro caso l’operatore si approccia al paziente con la coscienza di svolgere un lavoro terapeutico, ma lo fa con la fantasia e dunque “servendosi” anche della cultura e delle sue potenzialità.