Pareri a confronto

Riflessioni in tema di COVID-19
di GIAN PIERO SBARAGLIA

8 Aprile 2021

Ad oltre un anno dall’inizio della pandemia e con oltre 40 anni di servizio ospedaliero come specialista ORL, di cui circa 20 anni trascorsi presso il reparto ORL del “San Camillo” di Roma e gli ultimi 15 anni quali primario ORL e capo del dipartimento di chirurgia nella ASL di Teramo, Gian Piero Sbaraglia si pone alcuni interrogativi sul virus e sulla conseguente gestione.

Sto qui a chiedermi quali siano ieri ed oggi i protocolli terapeutici, medici e di assistenza, dei pazienti COVID-19 ricoverati nelle rianimazioni. Può essere che mi siano sfuggiti articoli e lavori in proposito, ma una vera e propria trattatistica, o se vogliamo, “linee guida” a riguardo, non credo di averle vedute o lette, nei mezzi specialistici di comunicazione, indirizzati a noi medici, ad eccezione di personali pareri espressi qua e là, da specialisti del settore, quando intervistati.
Sì, sappiamo, ad esempio, perché lo vediamo in tv, che i pazienti affetti da questa grave insufficienza respiratoria virale e ricoverati in rianimazione, sono per lo più intubati, onde assisterli nella ventilazione polmonare e così via; sappiamo tutto ed il contrario di tutto sul virus, questo sconosciuto!, come del resto sappiamo tutto ed il contrario di tutto sui vaccini, ma qualche domanda e qualche riflessione mi sono nate, alla luce di personali esperienze circa alcune metodiche di assistenza ed intervento in queste circostanze in cui preponderante e severa è la sindrome acuta da insufficienza respiratoria.

Cito, ad esempio:

  1. la decisione di non far fare le autopsie a quanti morti per questo virus, onde stilare una seria statistica scientifica su quante morti avvenute per una broncopolmonite acuta virale con conseguente compromissione respiratoria a causa di una “alveolite stenosante” da secrezioni catarrali dense, o dalla complicanza in termini di microangiopatia trombotica a livello alveolare da parte del virus, e da ultimo alla possibilità che il virus possa aver cagionato un deficit neuromotorio, colpendo i centri della respirazione, causandone una paralisi respiratoria: si dirà: “ma c’è la diagnostica per immagini!”. Sì, serve, ma accompagnata dalla semeiotica.
  2. alla pratica della tracheotomia soprattutto suggerita e richiesta in pazienti da giorni intubati, sapendo che il tubo oro-tracheale tenuto in situ per oltre 5-7-8-15 gg, può determinare e determina, oltre ad erosioni (decubiti) della mucosa oro-faringo-tracheale, anche lesioni alla mucosa, (e non solo), delle corde vocali. Non sto a descrivere i vantaggi della tracheotomia soprattutto nel nursing dei pazienti – facili b. a. l., facili broncoscopie – con eventuali prelievi bioptici utili a stilare una casistica della qualità delle lesioni da COVID-19 nel parenchima polmonare.
  3. una riflessione, di certo la più ovvia, circa la statistica del numero dei morti da COVID-19 di ogni giorno: perché non dirci dove sono morti? Quanti in casa? Quanti in ospedale? Quanti per strada? E ancora perché non aver creato un questionario da inviare a tutti i medici per raccogliere dati sulla sintomatologia più frequente e significativa di questa virosi? (tipo la febbre, il raffreddore, l’anosmia, l’ageusia, gli acufeni), così da raccoglierli in una sorta di trattatello di semeiotica clinica e tanto altro.

Cito una iniziativa del ministero, comitato tecnico sanitario, che in collaborazione con la FNOMCeO e FNOPI, ha voluto raccogliere dati sulle cure palliative, tramite un questionario inviato on-line a tutti i medici. A supporto di quanto detto, alcuni miei lavori in materia, ed uno ripreso da una rivista di “Anestesia, rianimazione e terapia intensiva”, del settembre 1994, riportano i risultati di queste esperienze, oggi “scartate”, magari con la scusa che trattasi pur sempre di intervento chirurgico “facile alle infezioni” loco-regionali: se vero, assai ridotto e controllabile.

Mentre tra le cose che dovrebbero dare un buon risultato, nursing a parte, c’è il fatto che il paziente non dovrebbe essere sedato, per fargli sopportare il tubo oro-faringo-tracheale: ciò comporterebbe una certa autonomia gestionale del singolo paziente nel restare vigile, alimentarsi da solo, insomma rimanere cosciente. Cito un altro lavoro che tratta invece di una soluzione chirurgica, la esofago-stomia latero-cervicale, onde provvedere alla alimentazione per sonda, senza ricorrere al sondino naso-gastrico o alla p.e., nella circostanza in cui questa facoltà non possa essere compiuta dal paziente in autonomia. Tengo a precisare che queste esperienze nacquero dalla collaborazione interdisciplinare tra noi otorini, gli anestesisti e rianimatori della rianimazione cardio-chirurgia del “San Camillo” di Roma tra la fine anni ’70 e i primi degli anni ’90, al tempo di famosi cardiochirurghi, quali il Prof. Chidichimo ed il Prof. D’alessandro.

Proseguii, poi, queste esperienze con la rianimazione e terapia intensiva della asl teramana, nel periodo del mio primariato in quella asl, esperienze pubblicate nel 1996 con risultati che ci hanno dato ragione in moltissimi casi, testimoniando quanto ci guadagnassero i pazienti in termini di guarigione e di accorciamento del loro tempo di degenza.

Sono infine aperto ad un confronto o a ricevere qualche riposta/parere sull’argomento, da parte dei miei colleghi.
Grazie per l’attenzione.