Zoom

Tra scienza ed emotività, AstraZeneca torna sotto i riflettori
di BARBARA ILLI e
PATRIZIA LAVIA

Barbara Illi e Patrizia Lavia, Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del CNR, Roma

Nell’ultima settimana il nostro Paese è stato sconvolto dalla tragica morte, il 25 maggio, di Camilla Canepa, diciottenne di Sestri Levante. Camilla è stata colpita da una tromboembolia dei seni cavernosi cerebrali. Il Prof. Gianluigi Zona, neurochirurgo dell’Ospedale San Martino di Genova, che ha tentato un’operazione disperata, se non impossibile, ha parlato di situazione estrema di trombosi gravissima ed estesa. Il 15 giugno, i giornali hanno riportato il referto autoptico, che ha accertato che la morte è stata causata da una emorragia cerebrale.

16 giorni prima, Camilla era stata vaccinata con il vaccino Vaxzevria di AstraZeneca in un Open Day. Il vaccino è quindi finito di nuovo sotto i riflettori della stampa, così come la stessa pratica degli Open Day.  Il CTS ha reagito repentinamente, decidendo di cambiare strategia:

  • Il vaccino Vaxzevria potrà essere somministrato solo agli over 60; tutta la popolazione di meno di 60 anni riceverà vaccini a mRNA, Pfizer o Moderna; 
  • I giovani che hanno già ricevuto una prima dose di vaccino saranno sottoposti al richiamo con un vaccino a RNA, Pfizer o Moderna in quello che viene ora definito un regime di “vaccinazione eterologa”. 

Se la prima decisione può essere considerata come una giusta misura precauzionale, la repentinità della seconda ha suscitato sconcerto nel mondo scientifico. Infatti, si dispone di dati molto scarsi sulla vaccinazione eterologa (che esamineremo in dettaglio a seguire); diversi medici e scienziati hanno sottolineato l’elemento di incertezza insito nell’optare per un protocollo eterologo poco consolidato. A fronte di questo, sono stati ottenuti dati da milioni di persone, in tutto il mondo, di ogni sesso e di ogni età, con vaccini omologhi, incluso AstraZeneca; oltre a confermare la bassissima incidenza di eventi fatali (duole dirlo all’indomani di una morte tragica, ma qualsiasi trattamento ha i suoi eventi avversi), i dati disponibili indicano che, in generale, la seconda dose di AstraZeneca è tollerata meglio della prima, mentre il contrario si verifica per Pfizer, con un aumento dei disturbi o reazioni avverse in seconda dose rispetto alla prima.   

Che di fronte a un caso tragico, come la morte di Camilla, sia necessario prendere decisioni lucide, è stato espresso molto bene nella posizione del 15 giugno dell’associazione “Patto del Trasversale per la Scienza”, una associazione della quale fanno parte scienziati in prima linea nella lotta alla pandemia.

Una più estesa trattazione è stata pubblicata dagli scienziati Enrico Bucci e Luciano Capone, sempre il 15 giugno, sul Foglio, che si apre così: “La decisione del governo di sospendere l’uso del vaccino AstraZeneca anche per le persone al di sotto dei 60 anni di età che hanno già ricevuto la prima dose è l’opposto del principio del “rischio ragionato” evocato dal presidente del Consiglio Mario Draghi per le riaperture. Si basa, al contrario, sull’assunzione irragionevole di un rischio la cui entità non è nota: non ricevere più la seconda dose di AstraZeneca come previsto dai test clinici, bensì un vaccino a mRna, realizzando così un mix vaccinale non previsto da alcun protocollo scientifico né caratterizzato in nessuno studio clinico sinora”.

Di fronte alla naturale commozione per la perdita di una giovane vita, è difficile scrivere un qualunque commento appropriato. Tuttavia chi scrive condivide nel modo più profondo l’appello a rimanere lucidi.  Notiamo che lo sconcerto è tale che, mentre scriviamo (16 giugno) la Regione Lazio, a causa delle tante proteste e rinunce al richiamo eterologo, ha chiesto al Ministero di poter fare la seconda dose omologa con AstraZeneca, con consenso informato da parte del vaccinando  e assunzione di responsabilità.

Di fronte alla decisione del CTS, e allo sconcerto che ne deriva, cerchiamo quindi di fare chiarezza riassumendo quanto si conosce ad oggi.

La percezione pubblica dei casi avversi

Il 25 marzo scorso una donna di 69 anni era deceduta ad Agrigento per sospetta tromboembolia, sempre associata al vaccino Vaxzevria, ed il 26 maggio un’altra donna di 75 anni per trombosi massiva nel nuorese, anche lei vaccinata con Vaxzevria. Per entrambe queste morti sono in corso accertamenti, ma rimane acclarato che non hanno fatto clamore. I 18 anni di Camilla, sì, fanno notizia per ragioni fin troppo ovvie. Eppure, nel caso di Camilla possono aver agito alcune concause: Camilla soffriva di piastrinopenia autoimmune, una condizione di cui si sta valutando il possibile peso; inoltre, quattro giorni dopo aver ricevuto il vaccino, era stata sottoposta a duplice terapia ormonale. A quanto sembra, la ragazza non aveva segnalato alcunché ai medici vaccinatori, perché né lei, né la sua famiglia, ne erano a conoscenza. Tragica fatalità? Il medico che ha prescritto la terapia ormonale era a conoscenza che la ragazza era stata vaccinata con Vaxzevria? Chi scrive, non può esprimere giudizi che sono di competenza della magistratura.

Tuttavia, un colpevole è stato già trovato da molti ed è Vaxzevria, che è diventato “il vaccino assassino”.

Vaxzevria è davvero pericoloso? Gli insufficienti studi nella medicina di genere

Come abbiamo riportato in un nostro precedente articolo, l’essere donna e l’assunzione di ormoni sono fattori predisponenti ad eventi trombotici.

Vogliamo quindi iniziare con il ricordare l’importanza degli studi di medicina di genere, che sono fondamentali per identificare soggetti a rischio ed approfondire cause e circostanze di patologie che possono colpire più frequentemente le donne. Rimandiamo al bell’editoriale di Antonella Viola, docente di Patologia Generale dell’Università di Padova, pubblicato su La Stampa il 20 aprile scorso.

Ad oggi, sappiamo che con Vaxzevria, in donne al di sotto dei 50 anni, il rischio di eventi avversi causati da quadri trombotici è di 1/100000.  Dunque, occorre ricordare che, anche in questo gruppo – quello più a rischio per tali eventi – essi sono comunque molto inferiori al rischio di morire per Covid-19 che, al di sotto dei 60 anni, in condizioni di elevata circolazione del SARS-CoV-2, è di 6/1000.  I numeri possono apparire aridi, ma dimostrano un beneficio molto maggiore ad essere vaccinati, anche con Vaxzevria e anche in giovane età, che a non esserlo.

Vaxzevria è davvero pericoloso? Il rapporto dell’EMA e il concetto rischio/beneficio per fascia di età

Sia il rischio che il beneficio sono naturalmente soggetti a continua rivalutazione, tenendo conto sia degli eventi registrati man mano che aumenta nella popolazione vaccinata, sia della circolazione del virus. L’ultimo rapporto dell’EMA, del 23 aprile, riporta modifiche nel rapporto rischio/beneficio a seconda delle fasce d’età (mentre sono ancora limitati gli studi di stratificazione dei dati rispetto al sesso) e della circolazione virale, definita come bassa (55 casi su 100000 abitanti), media (401 casi su 100000 abitanti) e alta (886 casi su 100000 abitanti). Per un quadro dell’intero rapporto, rimandiamo al link. Qui vogliamo riportare i dati dell’EMA sul rapporto rischio/beneficio nella condizione attuale in Italia che è di bassa circolazione virale.

Figura 1. Pannello superiore. Per ogni 100.000 individui, sono riportati i casi di ospedalizzazione prevenuti da una singola dose di Vaxzevria (in blu) vs. i casi di trombosi associati a trombocitopenia dopo una singola dose di Vaxzevria (in rosso). Pannello inferiore. Casi di ingresso in terapia intensiva prevenuti (in blu), vs.  casi di trombosi associati a trombocitopenia (in rosso), sempre dopo una singola dose di Vaxzevria ogni 100000 individui. Il tutto suddiviso per fasce di età.

Ci preme sottolineare che gli adolescenti non rientrano in questo rapporto, poiché la stratificazione per fascia di età parte dai 20 anni. Tuttavia, questi dati ci dicono una cosa importante. È evidente infatti, anche dal solo confronto della densità blu/rosso, che sopra i 60 anni si ha il massimo rischio di ospedalizzazione, anche con terapia intensiva, e quindi il massimo beneficio dal vaccino Vaxzevria. Anche nelle fasce più giovani, in caso di bassa circolazione virale, si ha ancora un vantaggio a vaccinarsi per quanto riguarda la possibilità di ricovero ospedaliero. Se invece guardiamo ai dati di ingresso in terapia intensiva, dobbiamo appunto arrivare a 60 anni perché la vaccinazione con Vaxzevria superi il rischio di VITT. Nella fascia 50-59 anni, invece, rischi e benefici si bilanciano e nella fascia inferiore a 49 anni i rischi sono molto bassi o inesistenti, dunque non bilanciati dai rischi.  A maggior ragione, intuitivamente, le fasce di età al di sotto dei 20 anni, in un contesto di bassa circolazione virale, probabilmente non traggono beneficio dalla vaccinazione con Vaxzevria. Secondo questo rapporto, quindi, agli adolescenti e giovani adulti andrebbe destinato un altro vaccino.

Tuttavia, il nostro CTS ha autorizzato gli open days per il vaccino di Astra Zeneca senza limiti di età.  Buona quindi la decisione di stabilire i limiti d’età in accordo con il rapporto EMA e ci si rammarica che questo sia avvenuto a seguito di una circostanza tragica.

Il richiamo “eterologo”

Arriviamo al punto controverso nella decisione del CTS che ha stabilito di somministrare a chi, al di sotto dei 60 anni, ha già ricevuto una dose di vaccino Vaxzevria, un vaccino diverso (eterologo) a mRNA (Pfizer/BioNTech o Moderna) in seconda dose.

I dati scientifici a supporto di questa decisione – è bene dirlo – sono ancora preliminari. Ciò che sappiamo finora deriva da 4 studi eseguiti su poche centinaia di persone, pertanto osservazionali.

La tabella riassume le dimensioni dei trial finora disponibili:

TrialNumero di soggettiEtà dei soggetti arruolati
Com-COV (Oxford, UK)830Superiore a 50 anni
Charité, Università di Berlino (Germania)340 medico-sanitari30 – 50 anni
Università di Ulm / Università di Goettingen (Germania)  2625 – 46 anni (media 30,5 anni)
CombivacS (Spagna)673Età media 40 anni

Il trial clinico più ampio, guidato dall’Università di Oxford, il Com-COV, ha arruolato 830 volontari, 463 riceventi prima e seconda dose eterologa a 28 giorni di distanza e 367 riceventi prima e seconda dose eterologa a 84 giorni di distanza. I volontari sono stati divisi in 4 gruppi corrispondenti a varie combinazioni di vaccini: 1.  Vaxzevria/Vaxzevria; 2. Vaxzevria/Pfizer; 3. Pfizer/Pfizer; 4: Pfizer/Vaxzevria. Sostanzialmente, i risultati concludono che anche la combinazione di vaccini è sicura, con un aumento degli effetti lievi/moderati in chi ha ricevuto la combinazione.

Ma il punto importante è che questi dati sono stati ottenuti in persone di età superiore ai 50 anni.  Gli autori della comunicazione ipotizzano reazioni avverse più marcate nei giovani, proprio laddove il nostro CTS ha deciso di prescrivere il richiamo con un vaccino eterologo.

Uno studio tedesco ha ottenuto gli stessi risultati di sicurezza su 340 volontari tra i 30 e i 50 anni. Da un punto di vista immunogenico, questo studio ha rilevato una risposta leggermente migliore sia anticorpale che cellulo-mediata. Un altro studio, sempre tedesco, giunge alle stesse conclusioni, su soli 26 individui di età compresa tra 25 e 46 anni.  

Infine il trial spagnolo CombivacS ha arruolato 673 persone (età media: 44 anni) con risultati simili in termini di sicurezza e ha mostrato una marcata più potente efficacia nella risposta anticorpale della vaccinazione eterologa rispetto a quella omologa.

Sebbene incoraggianti, questi dati hanno bisogno di validazione su numeri più grandi. Inoltre, nessuno studio ha preso in considerazione i giovanissimi. Se vogliamo, i dati più estesi ci arrivano proprio dalla campagna vaccinale dei maturandi e dagli open days per i giovanissimi, in cui sono stati vaccinati migliaia di ragazzi, con il solo, sfortunatissimo, evento avverso occorso a Camilla Canepa.

Dove sono le certezze?

È molto difficile, se non impossibile, rispondere a questa domanda dovendo fare fronte ad una pandemia che si è manifestata da un anno e mezzo e che si sta cercando di contrastare con una campagna vaccinale massiccia iniziata da poco più di sei mesi. Una risposta corretta potrebbe essere che la verità dipende dal contesto. Per alcune persone, un ricorso personalizzato ad un tipo di vaccino piuttosto che ad un altro, a seconda della presenza di particolari condizioni predisponenti, sarebbe idealmente la strada migliore.  Il problema è che, a volte, patologie silenti vengono rilevate solo in casi in cui si scatena una reazione avversa, dovuta agli agenti più diversi: un farmaco, un allergene, un vaccino.

La scienza richiede il suo tempo e la numerosità di osservazioni ripetute e riproducibili. La rarità degli eventi è essa stessa un ovvio limite al progresso delle conoscenze. Spesso, inoltre, da quelle che sembrano risposte nascono nuove domande. Ad esempio: tra gli eventi avversi, la trombocitopenia trombotica immune indotta da vaccino, acronimo VITT, è una reazione autoimmune contro le piastrine (https://www.hematology.org/covid-19/vaccine-induced-immune-thrombotic-thrombocytopenia). La VITT – che comunque, ad oggi, non si è verificata nel caso di somministrazione di una seconda dose di Vaxzevria, in nessuna fascia di età – compare tra i 7 e i 30 giorni dopo la prima vaccinazione come complicanza trombotica, e non va confusa con la reazione febbrile anche importante accompagnata da malesseri, intense cefalee e astenia, che possono svilupparsi a poche ore dal vaccino.  Ma cosa scatena la reazione autoimmune, e perché?  Vogliamo sottolineare comunque che molti sforzi si stanno facendo man mano che i (rari) casi avversi si manifestano per ricondurli a dimensioni trattabili. Tre importanti studi, accompagnati da un editoriale dedicato sul new England Journal of Medicine,  hanno complessivamente analizzato 39 casi avversi, fornendo una importante  sistematizzazione dei dati, della alterata risposta anticorpale e dei possibili trattamenti:

  1. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2105385
  2. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2104840?query=recirc_curatedRelated_article
  3. https://www.nejm.org/doi/full/10.1056/NEJMoa2104882?query=recirc_curatedRelated_article

Vogliamo anche indicare che, in Italia, il gruppo della Prof.ssa Marcucci, Professore di Medicina Interna all’Università di Firenze e direttrice della struttura ‘Malattie Aterotrombotiche’ presso l’Ospedale Careggi di Firenze, ha pubblicato un protocollo da loro sviluppato che si è rivelato in grado di trattare una reazione avversa grave dopo AstraZeneca.

È opinione di chi scrive, come abbiamo detto più volte, che ci si debba sempre attenere al dato scientifico solido e alle direttive degli enti regolatori che vigilano sui farmaci.

Questo, comunque, non ci conforta e non allevia la commozione e lo sconcerto per la perdita di una giovane vita.