Pareri a confronto

L’inizio del COVID-19: ripercorriamo due anni di pandemia
di MARCO CRISCIONE

6 Dicembre 2021


Il siero dei guariti: nel novembre (18-20) del 2011 partecipai, come co-Chief e Speaker, al 2nd Annual World Congress of Immunodiseas and Therapy a Guangzhou (Cina). May Title: “HPV in Infection and Cancer: Hypotheses about Virus/Host Interactions”. Lì conobbi diversi colleghi delle università del mondo e cinesi a due dei quali ho scritto, a cavallo di febbraio/marzo 2020, una lettera. Era appena iniziata la Pandemia Occidentale (Italiana per PRIMA) ed in Cina cominciavano a guarire alcuni malati. Il succo della lettera era: “Voi cinesi siete circa 4 volte gli europei; quando ci sarà un significativo (forse lo è già) numero dei vostri guariti perché non ne prendete il siero, nel quale certamente vi saranno anticorpi specifici, per curare i vostri malati più gravi? Fatemi sapere”.

Non ho avuto alcuna risposta, era passato troppo tempo, ma divenne la mia prima possibile “luce” da testare.

29/03/2020   UN PROBLEMA ANCESTRALE

È noto che i virus hanno avuto mutazioni più o meno frequenti nei loro ospiti animali e da poco umani per difendersi dai loro sistemi immunitari nel corso di una “co-evolution” risalente anche a centinaia di migliaia di anni fino a raggiungere l’optimum della fitness una volta scelto il giusto tropismo, nel nostro caso i polmoni. Se è vero, come sembra, che il SARS-CoV-2 fa parte di una popolazione virale che è passata da animali come “Palm civets and other animals traded in live-animal markets” all’uomo, producendo Pandemie quali SARS nel 2003 e MERS nel 2014–17, una volta trovato un vaccino efficace, che non può essere così velocemente somministrato come si dice, quante mutazioni ci potremo aspettare da un “parvenu” in micro-evolution” con l’uomo sapiens? Micro-evolution, come si sa, è un termine tratto dagli studi genetici sulla convivenza fra Ospite e Virus: rappresenta un cambiamento nella frequenza di uno o più geni all’interno di una popolazione virale o batterica, di norma corrispondente ad un siero-tipo diverso dal primo riscontrato, in malattie croniche come Epatite (B e C), infezione HIV; cosa farà il SARS-Cov-2?

Questo è un importante stimolo per i ricercatori virologi puri anche per prevedere nuovi passaggi da altri animali all’uomo come è successo con il SIV/HIV:“nel ‘63 si riscontrò che non meno di 20 virus, sierologicamente distinti, erano presenti nelle cellule di scimmia, fra i quali il “B virus” e l’SV-40.  Da rilevare che, com’è noto, l’animale dal quale il SIV è passato nell’uomo fu lo scimpanzé dell’Africa Centrale, il quale non solo era il principale animale con funzione di reservoir, ma anche quello che presenta il genoma più simile a quello dell’uomo sapiens. Tutti gli studi iniziali per lungo tempo ebbero come cavia questo animale, tanto da proibirne ad un certo punto l’uso. Quando si è trovato e studiato questo virus clinicamente si è visto che il tempo medio fra la sua (HIV) presenza nell’ospite e la malattia AIDS era di circa 10 anni, prima delle terapie cronicizzanti più recenti, il che potrebbe essere in parte dovuto anche alle simili strutture genomiche con l’animale d’origine. Per il SARS-Cov-2 è tutto diverso, abbiamo a che fare con un virus estremamente virulento e capace da solo di produrre la Polmonite Sinciziale in tempi brevissimi, senza sopravvento di batteri. Nel nostro caso l’origine può essere in animali lontani dall’uomo sapiens sia nel tempo che nella struttura genomica. Ad esempio i paleontologi evoluzionisti pongono alcuni antichi pipistrelli (fossili come tali, senza precursori, a circa 50 milioni di anni fa e si sa che sono certamente dei reservoir di molti virus). Questo virus sembra comportarsi comunque con una incubazione pari a quella conosciuta per i virus umani, ad esempio per la Varicella (14 giorni) ma per il momento sappiamo poco altro.
A questo punto credo sia giusto parlare della Quasispecies.

La “Quasi specie” dei RNA Virus ed il ritorno della malattia da COVID-19 in soggetti guariti

Sono molto legato a questa Teoria sulle mutazioni. Essa prevede che negli RNA virus con vaste popolazioni, come ad esempio l’HCV ma fra le quali potremmo includere i Corona virus, tutte le puntiformi ed alcune doppie mutazioni possono essere presenti in qualunque momento durante la “micro-evolution. Ciò significa che già prima della fase clinica, una volta introdotti nelle cellule suggerite dal proprio tropismo ed iniziato il proprio ciclo vitale, i virus in questione possono essere soggetti ad una selezione, dovuta ad una risposta immunitaria dell’ospite, senza la necessità di “mutare” in quanto già selezionata fra gli “strain” pre-esistenti anche a bassa replicazione, ma capaci di espandersi una volta superata la risposta dell’ospite. In sostanza, una volta passato nell’uomo, i virus hanno pronta nella micro-evolution una rapida metodologia usata da tanto tempo passato in animali per selezionare la strain giusta indotta dalla risposta dell’ospite. Questa mi sembra una causa per il “ritorno” del COVID-19 nei soggetti guariti, forse più plausibile della ipotesi di una permanenza nascosta del virus in questione propria ad esempio degli Herpes virus (che sono DNA). Infatti sia in Cina che nella Corea del sud, alla fine del mese di marzo si sono rilevate malattie da COVID-19 in soggetti che l’avevano superata a distanza di 2-3 mesi.

A mio avviso ci sono due possibilità:

  • 1. La sieroconversione non è stabile nel tempo e non produce sufficienti anticorpi (linfociti B) e tramite la “memoria” (linfociti T “helper” CD4).  
  • 2. Oppure è in atto la “quasi specie” descritta. Purtroppo credo che in entrambi i casi possa avvenire nei confronti dei vaccini ancora non trovati quanto avviene con l’HCV e l’HIV da noi ben conosciuti. Ho saputo che con i “ritorni” sia in Cina che nella Corea del Sud stanno riformandosi nuovi casi, il che è abbastanza ovvio, ma pare che vengano colpiti anche ex malati. In Italia ho sentito il caso di una donna che è ricaduta, ma più celermente rispetto ai ricaduti cinesi, tanto che il Primario ha tagliato corto dicendo che la ragione più semplice per spiegare il caso era probabilmente quella che i due tamponi (negativi) non avevano trovato un sufficiente numero di virus per risultare positivi. Per questo, se anche nel nostro paese si riscontreranno ricadute in soggetti ex-malati, sarà assolutamente necessaria la ricerca di eventuali “mutazioni” genomiche del virus anche una volta trovati i Vaccini dei quali si comincia a parlare.

Terapie Farmacologiche e Immunitarie. Nel frattempo corrono ricerche di farmaci di varia natura sia in Europa (Italia compresa) che in Asia e negli USA, pochi dei quali però si presentano credibili dal punto di vista scientifico perché ancora non sufficienti ed ordinati in serie ricerche epidemiologiche. Molto di più dovrebbero essere presi in considerazione a mio avviso gli anticorpi monoclonali. Anche se non abbiamo ancora certezze (pure secondo l’AIFA), credo fermamente che se esiste una possibilità per aiutare quanto stiamo ancora facendo secondo una giusta escalation di rigide norme sociali imposte, essa è data da terapie farmacologiche, chimichee, molto meglio, immunitarie. Questo soprattutto per ridurre nel più breve tempo possibile i decessi degli anziani (e speriamo non di giovani) già in Terapia Intensiva o prossimi ad entrarvi. È necessario che in un breve tempo si possano almeno lenire le poliedriche aggressioni del virus in varie parti dell’ospite fino a portarle ad una “tollerabilità” almeno pari a quella alla quale siamo abituati con i vaccini per l’influenza annuale. Ma, a mio avviso, gli anticorpi monoclonali potrebbero oggi essere un’arma più veloce dei vaccini, soprattutto per gli anziani.

Considerazioni finali: come mai non si è pensato al fatto che in Italia, seconda solo al Giappone per numero di anziani, questi fossero i più esposti (per co-malattie, degenerazioni e decadenze immunitarie) al COVID-19 fornendo la maggior parte dei decessi fino ad oggi, senza sottoporli per primi agli anticorpi monoclonali e, quando saranno a disposizione, ai Vaccini?

Prof. Salvatore Marco Criscione
già Direttore della Clinica Pediatrica
Università dell’Aquila
Specialista in Endocrinologia e Malattie Metaboliche
Fellow in Allergy&Immunology