Cultura è Salute

L’anestesista scrittrice colpisce ancora con “Gli angeli di Barcellona”
di LAURA MINGUELL DEL LUNGO

La Dottoressa Laura Minguell Del Lungo, che abbiamo intervistato durante la prima ondata di COVID-19 quando scrisse il libro “Lucertole” presenta adesso il suo nuovo romanzo “Gli angeli di Barcellona”. Ancora una volta la scrittura ha rappresentato per lei una fedele ed immancabile alleata anche per “sopravvivere” alle angosce e alle fatiche di essere un medico, una donna ed una mamma in tempi di pandemia.
Il mio secondo romanzo pubblicato da GM. Libri si intitola “Gli Angeli di Barcellona” ed è molto diverso dal mio precedente volume “Lucertole”, anche se in comune hanno una delle protagoniste, l’anestesista rianimatrice messicana Elena Castaño ed è sostanzialmente un prequel di “Lucertole”, nel senso che parla di avvenimenti precedenti al primo romanzo, pur essendo un episodio indipendente.
Qualcuno si chiederà perché, dopo aver parlato di lucertole, parli di angeli. Per scoprirlo basta leggere il libro, ma risponderò a questo ipotetico quesito. In “Lucertole” ho ricercato una similitudine tra animali ed esseri umani, rincorrendo l’intuizione colorata di una collega di specializzazione e cercando di delineare le caratteristiche comportamentali di alcune categorie di persone. La mia fantasia è sempre a briglia sciolta e mi ritrovo spesso a immaginare, mentre osservo qualcuno, il muso dell’animale che gli assomiglia di più. Cioè ricerco la natura a cui l’essere umano, comunque, appartiene.
Gli angeli invece sono creature innaturali, mistiche, misteriose, un po’ magiche, al confine tra fede e legenda; non tutti credono nella loro esistenza. Quindi in questo secondo romanzo, indago un aspetto più spirituale della vita umana, rispetto a “Lucertole”. Anche se gli angeli di cui parlo in “Gli Angeli di Barcellona” sono potenzialmente tra noi, creature terrene che aiutano, commuovono, salvano, sorreggono e, a volte, volano via. Sono gli angeli di Barcellona, che si muovono per le strade della città con le loro storie spezzate; che senza ali sfiorano le vite di altre persone, spesso senza rivelare la propria natura.
La trama si snoda in una Barcellona vasta e cupa nell’arco di ventiquattro ore, cominciando con una terribile fatalità in un appartamento del Raval e una bambina, Angie, in coma. Poi un grave incidente stradale: un ragazzo, Ruben, muore e suo fratello Aitor finisce in stato critico. Laia Mas, è il medico di ambulanza che soccorre Angie e Aitor, donna apparentemente coraggiosa e solare, ma che nasconde inquietudini e angosce inespresse. Dopo l’ambulanza, c’è la rianimazione pediatrica dove aspetta le piccole vittime la rianimatrice, Elena Castaño, donna soddisfatta della propria vita e sicura di sé, che si dona generosamente per curare i suoi pazienti.
Nel gruppo di amici di Ruben, il ragazzo deceduto, ci sono Liz, Marisol e Fran, insieme a Juana. Lei è sorella di uno spacciatore, una ragazza insicura che è stata traumatizzata da uno zio crudele; c’è poi anche Carles, un ragazzone buono e fedele, e infine c’è Maica, l’amica che non risponde mai al telefono.
Devo dire che, per quanto incredibile possa sembrare, sono tutte storie vere. Mi ispiro sempre alla realtà, e anche i miei personaggi, in qualche modo, sono tutti reali. Poi l’intreccio narrativo è un altro paio di maniche.
La primissima idea del libro nacque a Barcellona, dove mi trovavo nel 2007 per il progetto Leonardo, un programma di tirocinio post-laurea dell’Unione Europea. Ai tempi frequentavo il pronto soccorso dell’Hospital Sant Joan de Deu, il più grande ospedale pediatrico della città. Lì conobbi una giovane dottoranda messicana di Urgenze Pediatriche, che divenne inconsapevolmente la mia Elena Castaño. Allo stesso tempo ebbi occasione di conoscere una comitiva di amiche e amici incredibilmente legati, che riunivano storie di vita pazzesche, di cui quello che succede in “Gli Angeli di Barcellona” è solo un assaggio! Il resto me lo tengo di riserva per i prossimi romanzi…
In realtà la nascita di questo libro si lega alla mia successiva esperienza come medico di ambulanza per il SEM, il Servizio di Emergenze Mediche, di Barcellona. Parliamo degli anni 2013-2014. Ma ci tengo a precisare che Laia Mas, il medico d’ambulanza del libro, assolutamente non sono io, come mi hanno chiesto diverse persone che hanno letto il libro. Questo personaggio è qualcuno che apparentemente potrebbe assomigliarmi, o meglio vorrebbe assomigliarmi, ma in realtà appartiene completamente a un’altra categoria di persone.
“Gli Angeli di Barcellona” è nato fisicamente nei primi mesi della pandemia. Ero in attesa della pubblicazione di “Lucertole”, e avevo un tremendo bisogno di raccontare tutte le storie che avevo in mente. In quei mesi cominciai anche la stesura di un altro romanzo, per ora inedito, dal titolo “Oltre il Presente”, che prende come punto di partenza l’anno 2020 per immaginare un futuro a dieci anni dalla pandemia.

Non nascondo che ho vissuto molto male l’iniziale diffondersi del nuovo coronavirus. Non che pensi di essere l’unica, ma qui in Catalogna, e in Spagna in generale, a febbraio 2020 avevi la sensazione che il coronavirus dovesse essere allergico al prosciutto iberico, o qualcosa del genere. Io sapevo cosa stava succedendo in Italia, parlavo coi miei colleghi e amici e rabbrividivo. Avevo il terrore di andare al lavoro, ritirai le mie figlie dalla scuola prima che qui fosse dichiarata la chiusura degli istituti scolastici; la gente non capiva, pensava fossi matta. Mi mandavano su WhatsApp dei meme con la pizza al coronavirus e altre amenità di questo genere, indicando che quello fosse un problema tutto italiano.

“Ma davvero pensi che arriverà qui questo virus?” Mi chiedevano. Io sconcertata rispondevo: “Sì, certo! Perché non dovrebbe arrivare? Abbiamo forse uno scudo protettivo? Anzi, vi dirò di più: il virus è già qui.” Mi guardavano proprio come se fossi matta. Quando iniziai a portare la mascherina in ospedale cominciò a girare la voce che io fossi stressata, spaventata. Una isterica, in pratica. In una riunione intraospedaliera volta a esporre le linee guida per l’emergenza sanitaria del governo della Catalogna, mi fu detto che il lavaggio delle mani era sufficiente a contenere i contagi.

Poi a posteriori ho ricostruito attraverso i miei pazienti della Clinica del Dolore una serie di polmoniti atipiche da causa ignota nelle ultime settimane di febbraio e le prime di marzo e diversi pazienti che non avevano riportato sintomi mi riferivano anosmia o ageusia in quel periodo.

Soffrii molto per il trattamento che mi stavano riservando i miei colleghi, di sfiducia e sprezzo. Lo considerai un comportamento irresponsabile e superficiale; mi sono derivati anche problemi sul luogo di lavoro. Poi ho fatto la pace con la mia sindrome di Cassandra ed ho capito che probabilmente la negazione come meccanismo di protezione dalla paura era stato più forte della razionalità e del buon senso.

Il venerdì 13 marzo 2020 fu dichiarato lo stato di allarme in Spagna, con conseguente chiusura degli istituti scolastici. Il lunedì 16 marzo in ospedale c’erano già i primi casi (gravi) tra i sanitari. Il mio ospedale, un piccolo nosocomio rurale della Catalogna Centrale, ha guadagnato successivamente il triste record di centro con maggior percentuale di sanitari colpiti rispetto alla popolazione. Fu un’ecatombe. Io e mio marito, chirurgo presso lo stesso nosocomio, avevamo il terrore che potessimo ammalarci entrambi: all’epoca avevamo tre bambine e ci chiedevamo cosa sarebbe stato di loro se ci avessero ricoverati entrambi. Fu un periodo pessimo, non solo per me, ovviamente. La pandemia ha cambiato le vite a tutti noi, e in molti casi non solo strettamente per via delle mascherine e delle restrizioni: molte persone hanno avuto seri problemi psicologici, psichiatrici, interpersonali, relazionali, economici. Ecco, diciamo che, per quel che ho sperimentato, il Sars-Cov2 ha scoperchiato un po’ il vaso di Pandora per molte persone. Io mi trovo tra queste: ho passato delle vicende personali ed interpersonali davvero penose, e che in qualche modo sono correlate a tutta la faccenda della pandemia. Le conseguenze di quegli eventi me le porto dentro ancora oggi e non so per quanto. Come sempre, ho trovato nella scrittura una fedele e immancabile alleata, efficacissima come psicoterapia e anche come mezzo di analisi più oggettiva della realtà. Scrivo in molte forme, diari, poesie, racconti, riflessioni; ma reinterpretare le mie esperienze, dirette o indirette, attraverso la forma del romanzo, mi permette di sviluppare mondi paralleli, fuori dalla vita vera, che non necessariamente sono migliori della realtà, ma quanto meno sono pilotabili dalla mia volontà. Necessitano della mia costante attenzione per poter continuare a muoversi. Dover pensare a cosa far fare a quel tal personaggio nel prossimo capitolo, mi permette di tenere la mente occupata in qualcosa di diverso dalla paura o dal dolore mentre faccio la doccia, per esempio, o preparo il ragù.

Nel primo semestre del 2020 ho anche portato a termine con grande fatica un Corso Universitario di Esperto in Dolore presso l’Università di Cadice. Certo, non è facile lavorare, studiare, scrivere e crescere delle figlie che ora sono diventate quattro. Ma non rinuncerei a scrivere: è il mio modo salvifico di lasciare una traccia di me in questo mondo. Lancio un messaggio nella bottiglia verso il futuro, raccontando il passato, per sopravvivere al presente.

La mia quarta figlia è stata una delle cose belle che è venuta con la pandemia. Sono certa che non esisterebbe se non ci fosse stata questa calamità. Bisogna vedere sempre il bicchiere mezzo pieno!

Nel 2021non ho lavorato in prima linea contro il coronavirus: ho ottenuto l’esenzione per rischio lavorativo in gravidanza e sono stata a casa. Ho avuto tempo di ricucire varie cose che si erano scucite o strappate nell’anno precedente; ho potuto aspettare la piccola Viola con maggior serenità, di cui avevo disperatamente bisogno; e poi ho trovato il mio spazio anche per scrivere. Infatti, l’anno scorso ho potuto terminale il mio romanzo inedito Oltre il Presente, di cui ho parlato più su; ho cominciato un nuovo progetto di narrativa che nasce proprio dal dolore e dal malessere che il coronavirus, per vie traverse, ha portato nella mia vita. Nel 2021 ho anche iniziato e portato a termine un progetto letterario a quattro mani, con una mia amica cilena, che sarà pubblicato a giorni in Spagna, dal titolo “Amándome durante 90 días”. Si tratta di 90 testimonianze autentiche di 90 donne, che raccontano storie di resilienza, amore, dolore e perdono. Per non farmi mancare nulla, nel 2021 ho anche iniziato la collaborazione con una pagina web per famiglie numerose, “Più di Due”, per la quale tengo una rubrica molto carina (sono di parte, ovviamente) intitolata “Pillole di tutto un po’”.

L’isolamento forzoso del 2021, dovuto in parte all’assenza dal lavoro, a una gravidanza non facilissima e in gran parte alle restrizioni contro il Sars-Cov2, mi ha permesso di svolgere tutte queste attività ma mi ha anche portato a riflessioni profonde su molti aspetti della vita, della società, delle relazioni. In più di un momento ho anche vagheggiato l’ipotesi di lascare il mestiere di medico, e non sono certo l’unica, tra i sanitari. Grande sfiducia e traumi, rancori e paure si annidano dietro a questi pensieri di fuga.

Poi però mi è tornata la voglia di sporcarmi le mani e ricominciare ad aiutare concretamente gli altri: tra tre giorni rientro al lavoro dalla maternità. Spesso le cose tornano in sede senza che noi facciamo troppo sforzo, complice a volte qualche angelo. Di quelli senza ali, quelli terreni che ogni tanto attraversano la vita di qualche bisognoso e lo aiutano a risollevarsi. Come Gli Angeli di Barcellona. Perché ricordate: c’è sempre un angelo per noi da qualche parte. Ma soprattutto: siate pronti per quando dovrete essere voi l’angelo di qualcuno!