Cultura è Salute

“Gio l’iperbolico”, l’immenso enigma della vita e della morte
di GABRIELLA ALBIERI

Ispirata dal percorso artistico e dall’esperienza della malattia del pittore Giovanni Montecavalli, la psichiatra Gabriella Albieri, che ha anche partecipato al corso ECM di Club Medici su “Cultura è Salute”, ci racconta in questa intervista della mostra che ha organizzato nel 2019 a Ravenna e dell’intreccio indissolubile tra arte, medicina, bellezza e vita.

Vorremmo aprire questa chiacchierata, ripartendo dall’esperienza artistica del pittore ravennate Giovanni Montecavalli (e dalla sua malattia) poiché Lei nel 2019 ha organizzato una mostra in merito…

Gio Montecavalli fu pittore di vocazione dal 1974, ma abbandonò molto presto l’idea dell’arte come professione, interpretando la sua personale ricerca estetica nell’ambito dell’architettura soprattutto d’interno. Così per lui la pittura divenne il suo modo di rappresentare le proprie esperienze emozionali. Siccome faticava ad accettare le logiche del mercato dell’arte, preferiva regalare le sue opere, in particolare acquarelli o pastelli; però con difficoltà si separava dalle opere più impegnative e complesse. Queste spesso nascevano da una sua particolare capacità visionaria che trasformava materiali di scarto, ritagli trovati nei suoi cantieri, in opere d’arte. Accettò di organizzare nell’ estate del 2018, pochi giorni prima della sua morte, la sua prima personale a Ravenna: GIO L’ECLETTICO, insieme di tecniche e scelte materiche diverse per raggiungere il medesimo scopo: dare forma alla Bellezza. L’evento fu anche il commosso commiato dalla sua città e dai numerosissimi amici e conoscenti.

Com’è nata l’idea della mostra?

Nell’ultimo anno di vita, a causa degli esiti della malattia, la sua produzione artistica si limitò all’uso del pastello.  Da ottobre 2017 a febbraio 2018, disegnò 60 tavole dove le linee del disegno sono esclusivamente Iperboli.

Iperbole perché nel suo immaginario era identificata come una linea femminile che sta nell’infinito Universo, richiamando per associazione il suo universo affettivo. Giovanni sentiva che il femminile intorno a lui gli stava rendendo più sopportabile la sua esperienza del lento morire, continuando a perseguire la vitalità possibile, talvolta con rabbiosa tenacia, a denti stretti e unghie artigliate.  Le iperboli disegnate in quel periodo esprimevano una vitalità iperbolica, malgrado la malattia di straordinaria ironia e poeticità.

Iperbole perché iperbolica è stata l’esperienza emotiva del morire con la consapevolezza della fine. Dolorosissima, in bilico sull’Impensabile, ma unica possibile salvaguardia al poter celebrare con gratitudine il dono di essere ancora vivo ad ogni risveglio, e capace di godere di ciò che la vita ancora poteva offrirgli: un plenilunio, il calore di una fiamma nel camino, gli abbracci delle persone amate, l’affetto degli amici, il sorriso dei nipotini. In una sua pagina di diario, Gio scrive:

TREMENDE Iperboli innamoratissime di Gio non lo lasciano neanche un attimo! …L’iperbole è una linea completa ed esce dalla mano come il gesto della semina. Ne siamo talmente circondati che era impossibile non disegnarle!”.

Iperbole, infine, come la forma della sua cicatrice sulla testa…

In questa Iperbolica esperienza, vissuta tra dolore indicibile, gioia e gratitudine di essere davvero capaci di spremere fino all’ultima stilla di vita e bellezza, Giovanni è stato un paziente che non è passato “inosservato” nel contatto con tutte le figure sanitarie che di lui si sono occupate nel corso del suo anno di malattia: il neurochirurgo, la sua anestesista, la sua oncologa, la radioterapista, gli infermieri del dh oncologico e quelli dell’Hospice, il medico curante e i medici palliativisti. Ad un anno dalla sua morte ho progettato la mostra “Gio l’iperbolico” con l’intento non solo di celebrarne il ricordo, ma soprattutto di riflettere e confrontarsi su vissuti ed emozioni che la poeticità della sua ultima produzione avevano evocato in chi nel periodo di malattia si era relazionato con lui. Fu anche occasione per esprimere nel concreto la nostra gratitudine verso, in particolare, gli operatori dell’Hospice.

Che tipo di riscontro ha avuto?

La mostra alla sua conclusione ci ha sorpresi con significati imprevisti e al di là delle attese. Il duplice obiettivo di riconoscimento della poetica creatività di Gio e di gratitudine, verso i curanti, ha trovato innanzitutto una concretizzazione attraverso il sostegno delle persone operanti nell’Assessorato del Comune di Ravenna che mi hanno concesso l’uso della galleria PR2.  Uno spazio molto bello e architettonicamente interessante; ma ancora non sapevo cosa le iperboli di Giovanni contenute in questo splendido luogo avrebbero prodotto.

La galleria con le sue volte si è rivelata cornice iperbolica all’iperbolico sogno di Giovanni. Da questo insieme si è costituito un luogo, una sorta di genius loci, un luogo speciale che un visitatore ha definito, cito: “Che dire… un’emozione! Una cosa solo come sogno di uno spirito esatto!”. Si è trattato del sogno con cui Gio ha tentato, per sé stesso e per tutti noi, di ricomporre, vivendolo, l’immenso perenne enigma della Vita e della Morte, della Bellezza e della Caducità. Del desiderio di immortalità che in fondo in ognuno di noi alberga. L’unica immortalità possibile è nella condivisione del ricordo, del riconoscimento, della gratitudine, della celebrazione della Vita. Circa 250 persone hanno visitato la mostra. Tutti ne sono usciti con un pensiero in testa. O un dubbio. Una domanda. Un’emozione o una consapevolezza in più. Allora si è potuto pensare a Gio come seminatore e ai suoi semi caduti nel cuore e nella mente delle persone che sono entrate in contatto con la sua poetica narrazione.

Che tipo d’intreccio/di legame s’innesta tra discipline artistiche e medicina? Crede nella forza di questo connubio?

Le risponderò attraverso una narrazione: quando nelle ultimissime settimane di vita di Gio, entrai per la prima volta nell’Hospice, rimasi colpita dai tanti quadri alle pareti. Pensai a dipinti donati a esprimere riconoscenza. Quadri colorati, vivaci. Mi chiesi quale altro legame potesse esserci fra questi dipinti, e l’oggetto del compito primario di quel luogo: accompagnare la Morte e il Morire; e la gratitudine per chi lo sa fare. Parlando con Sara, la responsabile della struttura, trovai in lei una profonda sintonia e una capacità empatica tale che desiderai che lei e i suoi operatori, e per estensione il mondo intero, conoscessero Gio, la sua poetica creatività, il suo amore per la vita che persino il “morire” non ne aveva appannato il senso di gratitudine. Si è trattato del desiderio di riconoscimento della bellezza del mondo interno di una persona, e del suo talento attraverso cui questa bellezza poteva esprimersi e diventare narrazione per tutti; o almeno per molti.  Un desiderio di riconoscimento che era frutto dell’incontro con quelle persone, quegli operatori. Quei dipinti alle pareti, la piccola biblioteca e il pianoforte in soggiorno avevano per me veicolato il messaggio che forse in quel luogo emozioni e sentimenti dei pazienti e dei loro familiari potevano essere accolti, ascoltati, compresi, e anche condivisi.

Lei ha partecipato al corso ECM di Nocera Umbra. Cosa ne pensa del progetto Club Medici “Cultura è Salute”? Che ricordo ha di quella esperienza formativa? La consiglierebbe ai suoi colleghi?

Con questa pregressa esperienza che mi ha vista coinvolta come familiare, ma anche come medico e come psichiatra, ho partecipato al corso ECM di Nocera Umbra, molto attratta dal progetto Club Medici “Cultura è Salute”. Per la mia formazione e ormai lunghissima esperienza come psicoterapeuta ritengo questo connubio di straordinaria potenza. Sono convinta, dopo aver per anni approfondito il pensiero di G. Civitarese, D. Meltzer, e di W. Bion  e altri, che l’esperienza emozionale della bellezza abbia un ruolo cruciale nella nascita e nello sviluppo della mente. Penso che quella di Nocera sia stata una grande opportunità per tanti colleghi di scoprire una via che consenta di far crescere l’empatia degli operatori come strumento per realizzare proficue esperienze di autentico contatto con i pazienti. La relazione medico-paziente non è soltanto il primo fondamentale atto di cura, ma è straordinaria occasione personale e professionale di crescita. Certamente la consiglierei ai miei colleghi per avere occasione di fare importanti scoperte su come si possa imparare a vivere meglio la propria professione, pur nella spesso sconfortante quotidianità del nostro operare.

All’ospedale di Ravenna esiste un “reparto” molto speciale: “RiANIMAzione letteraria” di poesia intensiva, ideato e gestito da Livia Santini…

In occasione dell’evento di Nocera Umbra, ho avuto modo di conoscere questa interessante iniziativa di cui avevo solo una conoscenza molto superficiale. Ho preso contatti con la professoressa Livia Santini e stiamo ora valutando la possibilità di una eventuale collaborazione per i futuri progetti che quest’anno vedono Ravenna capitale della medicina narrativa. Vedremo quali connessioni “di rete” sarà possibile far nascere!