Cultura è Salute

“Le confessioni dei camici bianchi”
di GILDANNA MARRANI

22 Luglio 2022

Intervista alla Dott.sa Gildanna Marrani, autrice del libro “Le confessioni dei camici bianchi”; una raccolta di interviste a celebri medici e scienziati di fama internazionale, ma anche alcuni premi Nobel tra i quali Rita Levi Montalcini e Daniele Bovet, che porta all’attenzione dei lettori vita, passioni, ricerca, amori e tanti altri segreti di questi grandi personaggi, celati dietro la loro immagine pubblica.
Come è nata l’idea di scrivere un libro e con quale obiettivo ha portato avanti il lavoro?

Il libro è stato inizialmente concepito come una raccolta di “Confessioni” degli scienziati che la mia carriera mi ha permesso di incontrare. Quindi parliamo di un libro che racconta la vita, i sentimenti e la storia familiare di personalità della medicina. Di conseguenza il libro è indubbiamente rivolto e adatto ad ogni medico che esercitando la sua professione potrà trovare appassionante la lettura di queste vite. Al di là di questa nicchia di persone ci sono i lettori che non sono medici. E questo libro, per come si è realizzato e per la profondità esistenziale, psicologica, nonché per la vastità umana che le risposte degli intervistati ha alla fine raggiunto, posso dire che è adatto a tutti i lettori, nessuno escluso.  In particolare a coloro che attraverso la lettura di queste vite può maieuticamente trarne riflessioni personali, motivazioni esistenziali, esempi di vita che possono trasmettere idee e potenziali valori nei quali rispecchiarsi o da seguire. Una lettura non solo di curiosità semplice ma un viaggio psichico che, attraverso le risposte alle mie domande, conduca il lettore verso una sorta di autoanalisi così come ne coinvolga la personalità, fornendogli tracce di realizzazione personale e determinazione che emergono in tutti i protagonisti del libro.

Un volume che si concentra sull’aspetto non solo professionale, ma soprattutto intimo dei vari personaggi da lei intervistati. Come mai ha voluto evidenziare “l’altro lato” ovvero quello più nascosto e che cosa è emerso?

Credo sia questa mia innata propensione alla curiosità, che non è solo “freddo pettegolezzo”, ma qualcosa di più profondo: scegliendo di intervistare queste grandi personalità della medicina e volendo costruire un libro completo – che quindi non si limitasse ad una fredda analisi delle loro carriere scientifiche – ho avvertito la necessità e il piacere di andare al di là, penetrando anche le loro vite personali e intime per comprendere cosa esiste di vero nelle loro vite psichiche, quali risonanze emotive evochino alcune domande personali ed intime. L’arte ha un ruolo importante nel percorso di formazione del medico per l’umanizzazione dell’iter terapeutico. Esiste un forte legame tra arte, medicina e cura del paziente.  Secondo Ippocrate, il padre della medicina, la medicina è arte. Il giuramento di Ippocrate recita: “Con innocenza e purezza io custodirò la mia vita e la mia arte”.

C’è stata una storia o una personalità che l’ha particolarmente colpita ed affascinata?

Tutti gli intervistati a modo loro mi hanno affascinata e resa compartecipe di una parte di loro. Ogni intervista è stata per me anche un confronto con la mia esistenza, la mia educazione, le miei gioie e i miei dolori. Per esempio cito due importanti premi Nobel come Daniele Bovet e Rita Levi Montalcini. Il primo mi ha suggerito l’importanza di un buon rapporto con il padre di cui lo stesso Bovet ne andava fiero e da cui ha tratto fiducia nella vita e nel suo lavoro di ricerca. Un lavoro fatto di concentrazione e intuizione, serenità, energia e gioia di vivere e giuste scelte sia lavorative che sentimentali. Un transfert davvero positivo quello con il padre che gli ha permesso di vivere una vita serena, appagata e felice. Ed io, ascoltandolo, ho rivissuto la mia esperienza paterna, che non è stata altrettanto felice. Infatti mio padre era un uomo particolare senza il benché minimo istinto paterno; non ne aveva colpa, era la sua natura genetica a predisporlo a questa mancanza, come capita a molti che conoscono il padre -ma non ne percepiscono e avvertono l’affetto e il trasporto paterno verso di loro. Riguardo invece Rita Levi Montalcini mi ha colpito ed impressionato la sua forte credenza nella virtù del coraggio, ma anche la sua visione pessimistica e leggermente negazionista della felicità mi hanno lasciata non indifferente: per lei la felicità non esiste in quanto non si può essere felici in un mondo dove alberga tanta infelicità. Credo che nell’espressione di questi principi la Montalcini sia stata con me molto aperta e sincera. Non si è nascosta dietro un velo di ipocrisia.

Ritiene che la pandemia abbia contribuito ad accendere i riflettori sull’aspetto più umano dei medici?

Non credo. In questo caso il paziente era ammalato di una malattia causata da un virus di cui non si conosceva il nome né la causa né la terapia. Il paziente temeva la morte e vedeva nella scienza e nella scoperta di una terapia efficace la sua salvezza.

E crede che l’empatia possa giocare un ruolo cruciale nei percorsi di cura?

L’empatia non è solo necessaria ma indispensabile nel processo di cura del paziente. Il medico che non è empatico dovrebbe cambiare mestiere. Si può fare eccezione in medicina per chi voglia essere un tecnico, un ricercatore chiuso in un laboratorio a scoprire qualcosa di utile all’umanità per il progresso scientifico. La ricerca è indispensabile perché non sei di aiuto ad una persona ma ad una infinità di persone. Il medico invece deve avere quella mirabile qualità che si chiama empatia. Attraverso lo sguardo tu comunichi quella energia che ti mette in contatto con l’altro, con la mente e la psiche del paziente e attraverso l’ascolto gli puoi trasmettere attenzione. Così si ispira la fiducia nel paziente e si creano le basi per un rapporto sanitario serio e duratura. Attraverso la fiducia il paziente seguirà i consigli e la terapia del medico.

Lei è un medico. Quando e come si è avvicinata alla scrittura? Da cosa nasce questa sua passione?

La mia passione è la ricerca della conoscenza sia mia personale che attraverso la conoscenza degli altri. Credo che conoscere gli altri rappresenti un buon inizio per conoscere sé stessi. La mia è una qualità innata che si esprime attraverso l’intuizione e la devozione. Devozione intesa non in senso biblico e religioso, ma devozione come trasporto emopatico verso la scoperta dell’altrui felicità. Il mio libro ha una funzione maieutica ed ho voluto che fosse rivolto a tutti perché ciascuno dei lettori potrà identificarsi con le domande rivolte alle eccellenti personalità mediche e rispondere a loro stessi attraverso una brillante autoanalisi.

Club Medici promuove il network “Cultura e Salute”. Cosa ne pensa? Ritiene che la scrittura possa avere anche una visione terapeutica, generando benessere nell’individuo?

Ciò che promuove Club Medici con “Cultura e salute” è molto importante perché senza cultura non si forma l’uomo e non si sviluppano i sentimenti. I sentimenti non nascono con l’uomo non sono innati, naturali, ma si formano con l’educazione e la trasmissione della cultura ed anche di una conoscenza letteraria solida. Senza i sentimenti l’uomo non si distingue dalle bestie e non evolve psichicamente. Lo scopo della vita dell’uomo è l’evoluzione del proprio essere e il conseguimento della saggezza.   E se questo è il giusto percorso, la salute ne trae benessere.  Per quanto riguarda la funzione terapeutica della scrittura credo che dipenda da persona a persona: sicuramente in molti casi la scrittura e la lettura generano motivazione e interesse, da queste si sviluppa una tendenza a trarre serenità dalla loro applicazione. Dalla serenità si può passare ad una vera e propria passione, che permette a chi scrive o legge di ottenere benefici sia intellettuali che psicologici sia dalla lettura sia da una scrittura creativa.