L'intervista

Lavorare insieme per prevenire il suicidio
di MAURIZIO POMPILI

Anche quest’anno, in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del Suicidio che ricorre il 10 settembre, torna l’appuntamento con il Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute Pubblica, e che si svolgerà presso l’università “La Sapienza” di Roma nel corso di un’intera settimana, dal 10 al 17 settembre 2022. Ben 8 webinar e tanti professionisti del settore coinvolti per sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della prevenzione del suicidio. Ma l’evento rappresenta anche una preziosa occasione di scambio e di riflessione tra i maggiori esponenti nazionali e internazionali sul fenomeno suicidario per promuovere l’attuazione di linee guida di intervento sempre più coese e condivise.

La “Voce dei medici” ha deciso di approfondire il tema con il Professor Maurizio Pompili, docente ordinario di Psichiatria presso l’Università “La Sapienza” di Roma, tra i maggiori esperti in materia.

Iniziamo da una presentazione generale del Convegno, edizione 2022, anticipando i temi che affronterete quest’anno?

Il Convegno Internazionale di Suicidologia e Salute Pubblica nasce nel 2005 in occasione della Giornata Mondiale per la prevenzione del Suicidio, che ricorre il 10 settembre di ogni anno, ed ha contribuito a creare una cultura che prima non c’era; abbiamo sempre più followers e persone sensibili al fenomeno suicidario, che prima si vedeva più da lontano, come fosse un contenitore che nessuno voleva aprire, probabilmente per paura di scoprire cosa contenesse. Ora invece l’approccio è cambiato e le persone percepiscono sempre di più come, dietro al fenomeno suicidario, si celi una sofferenza estrema. L’obiettivo è capire come gestire al meglio tale sofferenza, ad esempio facendo leva sulla voglia di vivere e sui progetti che possono nuovamente stimolare il soggetto a rischio suicidio, proprio per riuscire a salvarlo. In realtà infatti queste persone desiderano essere salvate! Il Convegno dunque rappresenta un’opportunità per gli operatori della salute di confrontarsi su un tema che spesso fa paura e che per anni ha rappresentato un grande tabù.

“Agire per costruire speranza” è lo slogan che caratterizza il triennio 2021-2023. Forte è il richiamo alla parola “azione”: si è stati troppo fermi finora nel contrasto al fenomeno?

Per lungo tempo c’è stato il timore di approfondire questa tematica, si aveva paura di parlarne, di fare domande al soggetto in crisi. Occasioni come queste agevolano invece un’apertura anche mentale e questo aspetto è fondamentale, soprattutto se pensiamo a quanto ancora sussista tanta reticenza nella società ed anche distanza rispetto al fenomeno. Molto si può fare, non solo tra i professionisti della salute, che quotidianamente lavorano a contatto con queste persone, ma anche tra la popolazione generale, attraverso opere di sensibilizzazione per capire come riconoscere i soggetti in crisi ed in quali presidi indirizzarli affinché siano supportati nel modo più corretto possibile. Agire vuol dire mobilitare risorse, far si che il soggetto trovi una soluzione al loro malessere nel più breve tempo possibile. Ciò vuol dire allearsi tra operatori e tra curanti, con le famiglie, gli amici, la rete sociale della persona a rischio suicidio. Non bisogna mai pensare di salvare una vita da soli: il fenomeno è complesso e va gestito in maniera sinergica.

Quanto conta agire tempestivamente? E quali sono i soggetti più a rischio?

Il fattore tempo è fondamentale perché il soggetto in crisi, laddove è alle prese con sofferenza estrema, vede nel suicidio la soluzione più rapida per mettere fine al suo disagio e al suo dolore. Per questo è importante cogliere tutti quei piccoli e grandi “campanelli d’allarme” che possono rivelarsi cruciali per evitare che si arrivi all’atto estremo.  La pandemia ha portato un aumento dei casi di suicidio soprattutto per un senso generale di precarietà; si è ora osservato che non c’è stato un aumento di suicidi a livello internazionale, ma che sono aumentati i gesti di autolesionismo. La criticità dunque c’è anche se non sfocia in gesti estremi come la morte. C’è stato un aumento soprattutto tra le ragazze, nella fascia d’età 12-17 anni, ma è difficile comprendere le motivazioni. Spesso le cause di un malessere così acuto sono molteplici e profonde.

Ma come cogliere i segnali di malessere? Ci sono comportamenti “particolari” a cui prestare attenzione?

In termini generali i segnali d’allarme si avvertono quando il soggetto comincia a parlare di suicidio, di morte, fa affermazioni del tipo “ma che serve vivere” oppure “mollo tutto”. Bisogna preoccuparsi quando si nota un cambiamento nei comportamenti, ad esempio il sonno alterato, l’agitazione, l’irritabilità. Quando il soggetto dà via cose a lui care, si distacca da oggetti ai quali teneva molto, quasi in segno di allottamento, oppure quando si notano cambi d’umore repentini. Parliamo di soggetti provati e depressi che improvvisamente appaiono risollevati: questo accade perché, nel decidere di farla finita, è come se avessero trovato la soluzione a tutti i loro problemi. E poi non si devono sottovalutare l’abuso di alcol, la pratica di sport estremi, insomma tutti quegli elementi che portano a qualcosa di esasperante. Ci sono delle vulnerabilità che si creano spesso negli anni, il suicidio non è mai un fulmine a ciel sereno. Per questo è sempre importante conoscere la storia dell’individuo, indagare su eventuali elementi avversi in età infantile, farsi carico della sua storia, esplorarla, fino a ricostruire la sua vita da adulto.