Pareri a confronto

Mancano i medici? Vediamone e capiamone i perché
di GIAN PIERO SBARAGLIA

Da più parti oggi, mentre viene denunciato che gli Ospedali  ed i posti di Medici di Base stanno soffrendo per la carenza di sanitari dovuta o al pensionamento, o al fatto che i concorsi per rimpiazzare queste figure da tempo che vanno deserti o ancora al fatto che molti neolaureati scelgono l’estero per lavorare, dall’altra non si sente nessuno che faccia cenno anche ad una ulteriore possibile causa della perdita di queste figure sanitarie, quella in cui da tempo molti i giovani hanno rinunciato ad iscriversi a medicina – creando così di fatto una carenza di nuovi medici – , scegliendo altre facoltà.

Ciò, a detta di molti giovani, sarebbe dovuto sia alla insoddisfazione nel fare oggi questa professione, ieri tanto rispettata, sia perché ora è quella che più di tutte rischia il Tribunale, a causa della facilità con cui molti utenti “insoddisfatti”, scelgono con facilità le vie legali, stimolati da una sorta di “Sindrome da Risarcimento”, assai frequente in Italia. A tutto ciò si aggiungono le aumentate aggressioni fisiche e verbali al personale sanitario da persone violente e senza scrupoli, che vorrebbero addebitare ai medici la colpa o di un misfatto, o di una prestazione ritardata o insoddisfacente.

Infatti, non è di oggi il verificarsi dell’aumento dei contenziosi medico-legali, che sta creando nel sanitario una vera e propria psicosi di essere coinvolto con molta facilità nelle aule dei Tribunali. D’altro canto è da tutti risaputo che in medicina “due più due non fa mai quattro”, per cui non è difficile per chi vuole tentare la via dei “risarcimenti”, magari perché “insoddisfatto” delle prestazioni sanitarie ricevute, portare in giudizio il medico, a rispondere del suo operato, ritenuto dall’utente carente o non in linea con i normali protocolli. A tutto ciò si aggiunga la facilità con cui certi giudici, proprio in ossequio al proprio ruolo, si servono della loro “discrezionalità di giudizio” (di cui già parlammo da questa sede in altri articoli) per condannare, quasi mai per assolvere, almeno in primo grado, il povero medico, anche se statisticamente parlando sono poche le condanne definitive per i camici bianchi. Intanto, però, quante spese, quanto tempo e soprattutto, quante preoccupazioni o perdita di credibilità, a causa di un procedimento giudiziario!

Questo stato di cose venne evidenziato ed ammesso, qualche anno fa, anche dall’allora Ministro della Sanità Beatrice Lorenzin nella trasmissione “Agorà Estate” su Rai Tre (settembre 2015), nella quale denunciava gli aumenti e gli abusi dei contenziosi medico-legali contro i medici, aggiungendo inoltre che “oggi abbiamo gli avvocati in corsia che cercano pazienti, anche dopo 10 anni, per fare una denuncia”.  Della Medicina Difensiva si parlò già nel decreto Balduzzi del 13 settembre 2012 n. 158, convertito in legge l’8 novembre 2012 n.189, dove si trova regolata “la responsabilità professionale” di chi esercita professioni sanitarie. Tale Decreto, tra l’altro, denuncia il fenomeno della cosiddetta medicina difensiva, la quale spingerebbe i sanitari a prescrizioni di esami diagnostici talora inappropriati o esagerati, al solo scopo di dimostrare di essere stati “puntigliosi” e “scrupolosi”, coscienti che così facendo, potrebbero evitare  possibili contestazioni di omissioni o, ancora peggio, di superficialità nella ricerca della diagnosi, cosa che li proteggerebbe  dalla nascita di probabili contenziosi legali proprio a causa di queste contestazioni.

Ed infatti il timore della “denuncia facile” sta favorendo la nascita di una esagerata prudenza da parte dei sanitari, soprattutto quelli di Medicina di Base, con la prescrizione esagerata di prestazioni, tendenti a dimostrare l’assenza di superficialità del proprio operato, nella ricerca della giusta diagnosi, quindi con un parallelo coinvolgimento di più figure professionali.

Diciotto anni sono passati da quando venne pubblicato a cura di Sole 24h Sanità – Ottobre 2004, inserto “Management” – il nostro articolo “Complicanza non è jatrogenia” nel quale denunciavamo, tra l’altro, con forza e buone argomentazioni, l’assenza di un argine all’aumento esponenziale dei contenziosi medico – legali di quegli anni.

Diciotto anni sono tanti ed ancora oggi ci ritroviamo a parlare delle stesse cose: l’aumento dei contenziosi medico – legali; la lievitazione del costo delle polizze assicurative; l’incolpevolezza dei medici 6 volte su dieci, con i tempi dei processi enormemente aumentati.

Il problema potrebbe trovare soluzione con proposte concrete.

Noi ne proponiamo alcune a mo’ di sfida:

  1.   risarcire subito nello stesso procedimento il medico, ed eventualmente la ASL, chiamati in causa, se ritenuto incolpevole il professionista; e questo già alla fine del primo giudizio.

  2. ridare efficienza e competenza all’Ufficio Legale delle ASL così da formulare con indagini interne una dettagliata relazione su fatti e cose, oggetto del contenzioso, facilitando il compito alla Magistratura, e costituendo per di più un freno alla ricerca di motivazioni di convenienza, troppo spesso messe in piedi dopo molto tempo dai fatti, invece di essere prese in considerazione nell’immediatezza dell’accaduto.

  3. tenere in conto sempre che il danno lamentato andrebbe collocato nella gravità della patologia e nella sua particolare localizzazione; ci sono interventi che comportano la scelta di approcci terapeutici assai invasivi e per questo rischiosi, e che ogni soggetto risponde in maniera “naturalmente” diversa ad ogni tipo di intervento

Ciò non significa assolvere tutti e tutto, ma la valutazione della lesione dovrebbe essere riferita a danni macroscopici, quali ad esempio quelli d’aver lasciato nella breccia operatoria presidi chirurgici in genere o d’aver arrecato danni riconducibili a grave ignoranza professionale. 

In conclusione, si deve tener presente che ogni atto medico, soprattutto gli interventi chirurgici, non può essere paragonato all’esecuzione di uno schizzo che può essere corretto a piacimento, cancellando con la gomma il tratto venuto male!

E la professione medica non deve essere relegata al mero rispetto di “linee – guida” da parte del professionista, dal momento che ogni atto medico potrà presentare improvvise ed estemporanee varianti, non codificate e talora non previste né prevedibili. Il sanitario deve saper affrontare – laddove possibile- e rimediare con la sua esperienza e formazione, ma che non sempre sortiscono scontati risultati positivi. E quando accade, non può essere addebitato come colpa.

In questi casi è facile pontificare in “pantofole”!