Storie

LUIGI RUBINO, da dentista a volontario Covid
“Volevo rendermi utile”

15 Gennaio 2021

L’incredibile storia di LUIGI RUBINO, affermato odontoiatra e professore universitario con numerose cattedre in tutta Italia, che alla soglia dei 60 anni ha stravolto la sua vita per aiutare gli ammalati del “Sestri e Levante” di Genova.

La domanda sorge spontanea: chi gliel’ha fatto fare?

Devo fare questa doverosa premessa: sono figlio del tisiologo Franco Rubino e mio padre curava la tubercolosi, è stato tra i primi in Italia. Era una malattia che, tra il 1800 ed il 1900, veniva vissuta con vergogna: nessuno ti frequentava, era una patologia seria, tutti avevano molta paura. Io, invece, accompagnavo sempre mio padre a fare le visite sia in casa di pazienti affetti da tubercolosi quindi ho sempre avuto un rapporto “diretto” con le infezioni. Ci si ammalava di tubercolosi attraverso il respiro, un po’ come avviene oggi con il Covid.  Sono originario di Brindisi e ricordo che, quando ero in seconda media, nel Meridione scoppiò anche un’epidemia di colera, che portò scompiglio in tutta Italia, anche se al Nord ci furono pochissimi casi. Anche in questa circostanza mio padre fu da subito in prima linea e si offrì per vaccinare la popolazione: fu uno dei primi a trovare i vaccini e a portarli a Brindisi. Uno dei centri di distribuzione del vaccino divenne la stazione marittima della città, ma siccome la richiesta era tanta, adibimmo la mia abitazione come sede di vaccinazione e questo coinvolse anche tutta la famiglia.  Definirei mio padre un “medico romantico”, di quelli che oggi non ci sono quasi più. Ecco, è partito tutto da lì: quando è scoppiata la pandemia da Covid, la sensazione d’inadeguatezza di essere un dentista e non poter fare niente, era per me frustrante e pensavo a come potessi contribuire, a cosa potesse pensare di me mio padre, che così tanto si era speso per gli altri. Ho iniziato ad inoltrare domande ovunque, volevo rendermi utile, ho fatto richiesta anche all’ospedale di Bergamo, il primo travolto dal virus. Nessuno inizialmente mi prendeva sul serio, ero un dentista e dunque non avevo competenze ospedaliere. Ma a forza d’insistere, sono stato chiamato all’ospedale “Sestri e Levante” di Genova. Avevano capito che c’era in me la volontà di dare una mano per qualunque necessità ci fosse in reparto. Sono andato in ospedale 7 giorni su 7 perché era utile farlo, c’era un gran bisogno d’aiuto.

Che tipo di esperienza è stata?

Era un contesto stranissimo, non solo per me che ero del tutto impreparato di fronte a questo tipo di esperienza, ma per tutti: per la prima volta, infatti, nessuno poteva fare visita ai parenti. Per la prima volta abbiamo distribuito degli I-pad per le videochiamate a casa ed anche i colloqui con le famiglie erano solo telefonici. Si è quindi stretto un rapporto viscerale con i pazienti, ho potuto vedere con i miei occhi quello che accadeva tra i muri dell’ospedale. Ho visto tante persone, ho ascoltato le loro storie, alcuni di loro mi hanno colpito moltissimo. Ad esempio ad un uomo portavo i vestiti perché era solo e non aveva nessuno, lavavo anche i suoi abiti sporchi e lo aiutavo a cambiarsi. Poi ricordo con commozione un pizzaiolo, originario del Sud ed in punto di morte, al quale parlavo in napoletano per cercare di strappargli un sorriso. Lui si limitava ad alzare un braccio, non riusciva neanche più a parlare e poi l’ho visto morire, ma mi ha lasciato tanto. Mi hanno inoltre stupito i giovani medici, reclutati subito dopo la laurea, ed arrivati dal giorno alla notte in reparto: era straordinario vederli all’opera, così volenterosi.

Come è riuscito a sopportare tutta la tensione e lo stress che si vive in un reparto Covid?

Sono nati dei rapporti di amicizia molto intensi. Per me così come per gli altri si sono subito intrecciati dei legami fortissimi perché era come essere in trincea: si combatteva per lo stesso fine. Era faticoso essere vestiti tutte quelle ore, senza poter andare neanche in bagno, con quelle tute così ingombranti, eppure la fatica passava in secondo piano. Mi sono commosso tante volte e mi piacerebbe che tanti altri colleghi seguissero il mio esempio. Sono molto contento di aver vissuto questa esperienza, che mi ha molto arricchito. La fatica si supera, ma la consapevolezza di aver dato qualcosa agli altri conta molto di più. Nei giorni scorsi mi sono anche sottoposto alla vaccinazione anti-Covid e vorrei lanciare un messaggio di speranza da questo punto di vista. Sento dire sempre che “va tutto male”, ma non è così: anche in un momento storico così duro e senza precedenti, esistono delle belle storie.

Non le manca mai la sua “vecchia vita”?

Sono medico da oltre trent’anni, mi sono dedicato sempre all’Odontoiatria ed insegno in numerose università italiane. In questi mesi è stato molto difficile coordinare a distanza lo studio. E’ stato uno stravolgimento completo della mia vita, immerso in questa nuova attività, che dura anche oggi. Sono diversi mesi che ormai vivo l’ospedale in prima persona, ma per il futuro dovrò capire cosa fare, perché anche lo studio odontoiatrico deve andare avanti. Finora sono andato solo per le urgenze, stanco ma desideroso di farlo, e devo dire che i miei pazienti hanno apprezzato e mi hanno supportato, senza lamentarsi mai. Mi hanno capito e per me questo vale molto. Tra l’altro non era prudente passare continuamente dall’ospedale allo studio e viceversa, li avrei messi a rischio. Indubbiamente ho potuto farlo grazie anche ai miei collaboratori. Il mio primario in ospedale dice sempre “lo dovevi fare perché lo dovevi a te stesso”. Tutti sapevano che potevo fare poco, che non avevo le competenze adatte, ma hanno subito letto la passione che animava il mio cuore. Hanno deciso di tenermi con loro perché hanno compreso quanto fosse importante per me.