Cultura è Salute

Cure palliative, allarghiamo gli orizzonti
Intervista a MASSIMILIANO CRUCIANI

26 Aprile 2021

L’associazione di Carpi (Modena) “Zero K APS” si occupa di diffondere la cultura delle cure palliative come opportunità di scelta di vita, in un percorso di malattia inguaribile, attraverso tutte le forme espressive delle arti contemporanee. Ne parliamo in questa intervista con il presidente Massimiliano Cruciani.

Quando e perché nasce l’associazione “Zero K”?

Siamo un’Associazione culturale di promozione sociale nata nel 2018 con l’intento di diffondere la cultura delle cure palliative come forma di educazione alla vita, un’opportunità di scelta di vita, in un percorso di malattia inguaribile: volevamo avvicinare questo concetto ad un “percorso di qualità di vita”, con l’idea di cambiare le dinamiche culturali e filosofiche legate al mondo delle cure palliative, troppo spesso additate al “non c’è più nulla da fare”. Per molti decenni si è cercato di sfatare e modificare il tabù, morte-morfina e cure palliative, con pochi risultati, se pensiamo che ancora oggi solo 1 italiano su 4, che ne avrebbe diritto, riesce ad accedere alle reti locali di cure palliative. Probabilmente la modalità comunicativa utilizzata, i linguaggi utilizzati non hanno sortito gli effetti sperati, o meglio non sono stati recepiti e assimilati dai professionisti sanitari e non sono stati resi fruibili ai cittadini, nonostante 2 leggi (legge 38/2010 e legge 219/2017) e tantissime iniziative di informazione e formazione. Con un pool di professionisti ed artisti specializzati in questo campo, ci siamo mossi in questa direzione, attraverso discipline artistiche come teatro, poesia, pittura, scultura, danza e musica, partendo da un presupposto: chi non sa di arte, chi non sa ascoltare, chi non sa stare accanto alla sofferenza, dovrebbe stare lontano dalle cure palliative (cit. prof. Vittorio Ventafridda, fondatore della Società italiana di cure palliative in collaborazione con la Fondazione Floriani, ndr). Offrire cure palliative vuol dire comprendere la storia dell’altro, condividerne le scelte se consapevoli ed accompagnarlo, insieme alla sua famiglia, in questo viaggio. L’unico modo per poter stare accanto a queste storie, è quello di aver maturato una consapevolezza del sé e della morte il più naturale possibile. Troppo spesso le cure palliative sono associate al concetto della fine, ma in realtà c’è prima di tutto un percorso che prevede dei giorni da donare a queste persone, lontani dalla sofferenza fisica spirituale e psicosociale. In questo senso le competenze relazionali ed umane sono fondamentali.

Portare avanti un lavoro così complesso, in tempo di pandemia, cos’ha comportato?

La pandemia ha colpito anche e soprattutto il settore delle arti e dunque abbiamo deciso di reinventarci: accettare le difficoltà ed essere proattivi è alla base della nostra filosofia. Di fronte alla cultura del “lamento” bisogna invece ricostruirsi: per questo, in un momento così complesso ed unico come questo che stiamo vivendo, ci siamo affidati alle opportunità del web ed alle potenzialità dell’online, che ci hanno consentito di portare avanti una serie di progetti molto importanti. Abbiamo, ad esempio, supportato le Rsa, anche nei momenti più duri, organizzando per loro eventi formativi ed un evento all’esterno della struttura “Il Quadrifoglio” di Carpi per portare semplicemente sollievo agli anziani ed agli operatori attraversola musica. Abbiamo organizzato incontri online con i familiari dei residenti con il supporto della psicologa. Abbiamo affrontato l’isolamento di queste persone e grazie alla musica abbiamo donato loro momenti di serenità e gioia. Gli anziani si affacciavano dalle finestre delle loro stanze ed alla domanda “Cos’è per te la musica?” ci rispondevano “La musica è vita”. Inoltre abbiamo portato avanti corsi di formazione online, aperti a tutti: dal normale cittadino, che per curiosità vuole conoscere questo mondo, al professionista ed all’operatore, che si sta formando. Tutto questo ha aperto ad un confronto trasversale molto importante, sia per i familiari e le persone che vivono il percorso di malattia, sia per i professionisti che sono dall’altra parte: siamo dell’idea che la condivisione e la proattività facciano crescere una comunità. Durante la pandemia, un ruolo fondamentale lo hanno ricoperto i nostri volontari, uomini donne e bambini, che hanno continuato a realizzare progetti ed a credere in ZERO K. Grazie a loro, abbiamo potuto sostenere il progetto formativo ZERO K PER LE RSA. Sono loro la vera forza motrice della nostra realtà. Bisogna diffondere la cultura delle cure palliative, sfatando dei tabù che resistono da troppi anni.

In termini pratici cosa significa intrecciare le cure palliative con l’universo artistico e culturale?

Stiamo portando avanti progetti artistici con personaggi del mondo dello spettacolo e della musica, alcuni nomi, come la cantante Annalisa Baldi e Nicola Pesaresi (attore ventriloquo insieme alla sua Isotta), saranno i nostri prossimi compagni di viaggio. Contaminare attraverso le loro voci i loro volti, i loro modi di comunicare e sicuramente più efficace di un seminario o congresso anche nazionale. Abbiamo dei laboratori di musicoterapia, che si traducono in benessere per l’assistito e la sua famiglia, ma anche degli stessi operatori. L’arteterapia ed i laboratori teatrali servono invece a restituire quella percezione del sé nelle persone che hanno a che fare ogni giorno con la sofferenza. Esistono i sintomi e le sofferenze dell’essere umano, ma esistono anche l’espressività delle emozioni ed il senso della vita. Nella medicina moderna troppo spesso ci si dimentica della persona e della famiglia: consideriamo la malattia, ma non l’individuo ed il suo nucleo vitale. Le cure palliative fanno esattamente l’opposto: ci si prende cura dell’intero nucleo famiglia. Avere competenze artistiche significa saper ascoltare l’altro. La musicalità delle parole, i silenzi, le pause, gli occhi raccontano moltissime cose del vissuto di chi abbiamo davanti ed averne conoscenza aiuta sia nella relazione sia nel dare la possibilità all’altro di esprimersi pienamente. Abbiamo realizzato un libro di poesie, in collaborazione con il poeta Alessandro Focarelli dal titolo “Il viaggio continua”, partendo proprio dalle parole utilizzate dalle persone; sceglievamo insieme una parola che li rappresentasse e abbiamo trasformato questi concetti in poesie che potessero rappresentare la loro storia. Ancora aperto, per esempio, il concorso artistico “Da zero a K: mille opere artistiche per la diffusione delle cure palliative”, un progetto aperto a chiunque voglia partecipare, basta compilare il form sul nostro sito ed inviarci l’opera. Abbiamo ricevuto tantissime opere da pazienti, artisti, professionisti o semplici cittadini.

Che ruolo gioca in questi percorsi la cosiddetta “competenza relazionale”?

Crediamo sia molto importante che i professionisti seguano dei percorsi formativi e culturali, attraverso i quali sviluppare competenze relazionali e umane che li aiutino a “saper stare”, in ascolto anche nei silenzi, a saper reggere gli occhi e gli sguardi dell’altro. Ancora oggi purtroppo non è ben chiaro a molti, che il tempo di relazione è tempo di cura. Le persone hanno il diritto di incontrare professionisti che oltre a prescrivere farmaci ed esami, o erogare prestazioni, siano in grado di saper stare in ascolto, che sappiano comprenderli e che soprattutto siano in grado di rispettare le loro scelte, nel momento più importante della loro vita, quello che li porterà alla fine della loro storia. Tutto questo è realizzabile solo se i sintomi sono controllati adeguatamente e con competenza. Per esperienza personale, ritengo che delle buone cure palliative attivate precocemente, con professionisti formati e preparati, possano diminuire le sofferenze inutili, fisiche psicosociali e spirituali, essere di supporto alla famiglia ed agli altri professionisti coinvolti nei percorsi di cura e probabilmente ridurre al minimo le richieste eutanasiche. Una relazione autentica e di fiducia può ridurre al minimo l’accanimento terapeutico e può restituire alla persona un tempo di vita diverso, un tempo da vivere e non per sopravvivere. Facciamo delle buone cure palliative, quando metaforicamente parlando riusciamo a scegliere il “vestito” con l’altro: la dinamicità della vita necessita di queste aperture, le persone hanno bisogno di parlare di quello che sta accadendo loro. Non esistono cure palliative fatte in solitaria da un singolo professionista medico infermiere o psicologo: le vere cure palliative sono in equipe e devono essere erogate all’interno di una rete.

Il prossimo 28 maggio sarete ospiti dell’evento di Club Medici “Cultura è Salute?”. Rivolgo proprio a lei questa domanda: perché “cultura” è “salute”?

Bisognerebbe partire dall’accettazione del fatto che la vita è un momento di passaggio e come tale va accolta. Nelle arti questo messaggio viene diffuso da secoli: il cinema, l’arte e la musica ne hanno sempre parlato, ma dovrebbero diventare anche uno strumento per la formazione dei professionisti, accanto ad un percorso puramente scientifico. Altrimenti ci troveremmo di fronte a dei meri esecutori di protocolli standardizzati. Il prendersi cura dell’altro è una forma artistica, le cure palliative sposano questo principio. Perché continuare a combattere qualcosa di inevitabile? I corsi che proponiamo prevedono un binomio scientifico-artistico che faccia comprendere e trattare i sintomi, ma che insegni anche riconoscere la sofferenza fisica e dell’anima. Di fronte al dolore o alla sofferenza non si fissa un pc e non si reagisce con una pacca sulla spalla, ma si sta accanto si cerca di capire e si prova a rispondere con trattamenti farmacologici appropriati, stando in ascolto, facendo sentire l’altro accolto e non semplicemente “un altro caso”. Ogni persona che incontriamo è unica e come tale va vissuta… L’obiettivo, attraverso la cultura, è quello di promuovere una relazione autentica tra l’equipe curante e la persona, una relazione tra esseri umani provando a riconoscere e rispettare le competenze dell’altro. Le realtà associative spesso si preoccupano solo di sé stesse, la finalità è fare bene per noi, in realtà una chiave di lettura diversa e fondamentale è quella di costruire ponti, relazioni, di fare rete. Abbiamo un format “La rete di Zero K” proprio per dar voce anche agli altri: si cura meglio laddove si fa rete, si cresce insieme se c’è condivisione e relazione. Il segreto delle cure palliative è fare rete: se si cresce insieme, cresce la comunità. Se si cresce da soli, non si va da nessuna parte. La società ha bisogno di rete per trovare risposte, non è la singola realtà che può offrire risposte ai cittadini. Per questo per noi è un grande onore essere stati invitati da Club Medici e proveremo a contaminare, seminare e condividere la nostra esperienza. La nostra filosofia di vita è proprio questa: saper vivere nel “qui ed ora” con quello che abbiamo, nel miglior modo possibile. Viviamo in una società materialistica e virtuale, incentrata e concentrata quasi esclusivamente sul mostrare un benessere che spesso non esiste, ma che va postato, in realtà dovremmo iniziare a chiederci: cosa facciamo per noi stessi? Solo quando arriva nella nostra vita una malattia, ci rendiamo conto che il nostro tempo non è infinito. Imparare a vivere meglio, rieducare al concetto di morte come parte integrante della vita, partendo dai bambini e dalle scuole, nel rispetto delle volontà dell’altro, nell’abbracciare percorsi culturali che promuovano questa filosofia, è fondamentale. Questo evento è importante per crescere insieme, può fare la differenza, soprattutto in un momento storico nel quale le istituzioni non hanno tempo di promuovere formazione e cultura. Per questo bisogna partire da queste iniziative per far sì che questi temi siano sempre all’attenzione di tutti e promuovano la relazione individuale e collettiva.