18 Settembre 2024
Di Barbara Illi, Istituto di Biologia e Patologia Molecolari del CNR
L’apertura delle scuole è ormai alle porte. Anzi, nel momento in cui scriviamo alcuni ragazzi stanno affrontando gli esami di riparazione per recuperare i debiti. Rispetto a questi ultimi, la DAD ha senz’altro contribuito a lacune, mancanza di concentrazione nello studio, deprivazione sociale, disagio psichico. La ripresa della scuola in presenza rappresenta, pertanto, una priorità del Governo.
L’obbligo, da taluni aspramente contestato, di green pass per i docenti rappresenta, al contrario, un passo importante per la ripresa dell’anno scolastico in sicurezza. Ad oggi, circa il 90% del personale scolastico è stato vaccinato, un’alta percentuale, con poche sacche residue di resistenza.
Anche le vaccinazioni tra gli adolescenti (dai 12 anni in su) sembrano procedere spedite. E i bambini? Sarebbe giusto vaccinare anche le fasce d’ età da 6 mesi ad 11 anni? Oppure, l’utilità della vaccinazione contro il Covid-19 nei bambini è marginale? In questo articolo analizziamo i pro e i contro di quella che rimane – ad oggi – l’unica opportunità per limitare la diffusione del SARS-CoV-2 anche tra i bambini.
I trial clinici
Le sperimentazioni cliniche sui bambini devono soddisfare criteri etici e clinici speciali e devono essere soddisfatti standard altissimi ancor prima del reclutamento. Questo perché un organismo in via di sviluppo quale quello di un bambino è estremamente diverso da un punto di vista fisiologico da un organismo adulto completamente differenziato sia nella suscettibilità alla malattia che nella risposta immunitaria ad interventi farmacologici.
Per queste ragioni i trial clinici sui bambini differiscono da quelli sugli adulti nei seguenti punti:
- Consenso informato a due livelli: nel caso di sperimentazioni pediatriche, tanto i genitori quanto il bambino – in dipendenza dalla sua età e capacità di discernimento – devono fornire il loro consenso alla partecipazione
- L’ultima sperimentazione: i trial clinici sui bambini sono gli ultimi ad aver luogo, dopo sperimentazioni precliniche (in laboratorio e su animali), dopo i test sugli adulti e dopo l’approvazione delle agenzie regolatorie per questi ultimi
- Gradualità: le sperimentazioni pediatriche procedono per gradi, poiché un bambino di 2 anni non è fisiologicamente identico ad uno di 5 e uno di 5 non è uguale ad uno di 11.
Inoltre, qualunque sperimentazione pediatrica – sia essa relativa ad un vaccino o a qualunque intervento farmacologico – deve tener conto di aspetti particolari, come l’accrescimento osseo, il neurosviluppo i cambiamenti ormonali. Non da ultimo, bisogna tenere in considerazione possibili interferenze del vaccino anti-Covid-19 con altre vaccinazioni e viceversa.
Tenendo conto di quanto esposto, tanto moderna che Pfizer/BioNTech conducono da tempo sperimentazioni cliniche dei loro vaccini su bambini appartenenti a diverse fasce di età (6 mesi-2 anni, 2-4 anni e 5-11 anni). I risultati per la fascia 5-11 anni sono attesi per settembre; quelli per la fascia più giovani immediatamente dopo. Dai risultati della fase 1/2 del trial di Pfizer – che ha testato la tollerabilità del vaccino su 114 soggetti – sono state scelte 2 differenti dosi per le due diverse fasce: 3 microgrammi per i bambini da 6 mesi a 4 anni e 10 microgrammi per quelli da 5 a 11 (la dose dai 12 anni in su è di 30 microgrammi). Astra Zeneca ha iniziato un piccolo trial di fase 2 col suo vaccino Vaxzevria su 300 partecipanti da 6 a 17 anni, 240 riceventi il vaccino e 60 il vaccino di controllo contro la meningite. Anche Johnson&Johnson ha annunciato una sua sperimentazione per la fascia 12-17 anni e in Cina la CanSino Biologicals – il cui vaccino ha come scheletro l’Adenovirus5 – ha fatto partire un piccolo trial (30 soggetti) nella fascia di età 6-17 anni (https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC8035042/).
Il vaccino nei bambini è utile?
Se vaccinare gli adolescenti che hanno elevata socialità – e possibilità di far circolare il virus in maniera importante, come testimoniano i focolai tra i ragazzi durante queste ultime vacanze estive – è senz’altro utile (https://www.lavocedeimedici.it/2021/06/03/tra-scienza-e-reticenzail-vaccino-agli-adolescentie-utile-o-nodi-barbara-illi-e-patrizia-lavia/), il dibattito sui bambini al di sotto dei 12 anni è acceso. La quasi totalità delle infezioni nei bambini – che pur rappresentano una fetta consistente della popolazione – dipende dagli adulti, contrariamente a quanto accade, invece, per l’influenza. Pertanto, ad una prima analisi si potrebbe pensare che il vaccino nei bambini non sia di grande utilità. Vaccinare gli adulti dovrebbe, infatti, proteggere anche loro. Mettere in sicurezza gli adulti dovrebbe offrire riparo anche ai bambini secondo i principi dell’immunità di gregge. La stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, ha affermato che la vaccinazione pediatrica non è una priorità, tenendo conto della grandissima percentuale di adulti non vaccinati nei Paesi a medio-basso reddito (figura 1 e 2). Ciò ha particolarmente valore tenendo conto di alcuni dati pubblicati sul basso tasso di infezione nei bambini piuttosto che negli adulti (https://academic.oup.com/jid/article/223/3/362/5943164). Cionondimeno, la carica virale tipica dei bambini non è inferiore a quella degli adulti (https://academic.oup.com/cid/advance-article/doi/10.1093/cid/ciaa1693/5952826), anche se sembrano avere una clearance virale più rapida per l’immediata attivazione di linfociti B e T e una massiccia produzione di anticorpi neutralizzanti (https://www.cell.com/cell-reports/fulltext/S2211-1247(21)00166-2?_returnURL=https%3A%2F%2Flinkinghub.elsevier.com%2Fretrieve%2Fpii%2FS2211124721001662%3Fshowall%3Dtrue). Ciò ha ovviamente un impatto sulla loro contagiosità: i bambini sembrano in grado di trasmettere il virus solo in una finestra temporale ristrettissima.
Un altro elemento di dibattito nasce dal fatto che le manifestazioni cliniche della Covid-19 nei bambini sono piuttosto lievi. Infatti, la forma grave della malattia è piuttosto rara. Uno studio su 26 nazioni del maggio 2020 ha riportato che solo lo 0.14% dei bambini sviluppano malattia grave (https://www.thelancet.com/journals/eclinm/article/PIIS2589-5370(20)30177-2/fulltext). Tuttavia, occorre tenere conto di due fattori:
- nel lungo periodo, una frazione di bambini può sviluppare una patologia infiammatoria multisistemica potenzialmente letale.
- in quel periodo, le varianti in circolazione erano diverse, ed in particolare non includevano la delta, che sta causando un’impennata dei contagi nei bambini (da 8400 dello scorso giugno a oltre 90000 della scorsa settimana), tanto da rappresentare il 14,6% dei casi totali negli USA secondo l’ultimo rapporto dell’American Academy of Pediatrics (figura 3), con aumento nelle ospedalizzazioni, benché a livello ancora molto basso (rappresentano ora l’1.8% del totale delle ospedalizzazioni per Covid-19).
- la più alta contagiosità della variante delta ha innalzato la percentuale degli immunizzati per il raggiungimento dell’immunità di gregge dal 70% all’80%. I bambini rappresentano una quota consistente di popolazione che consente al virus di circolare ancora. Gli USA, con tassi elevati di contagi tra i bambini, soprattutto in quegli stati con percentuali di vaccinazione basse, come il Texas (https://www.webmd.com/lung/news/20210816/u-s-reports-record-covid-hospitalizations-of-children) ne sono un esempio. Anche Israele, che sta vivendo una ulteriore ondata di infezioni nonostante il 78% della popolazione adulta sia vaccinata e la cui popolazione è costituita per il 25% da bambini al di sotto dei 12 anni suggerisce come la vaccinazione anche dei bambini sia più che mai una chance per circoscrivere la circolazione del virus (https://theconversation.com/covid-cases-are-rising-in-highly-vaccinated-israel-but-it-doesnt-mean-australia-should-give-up-and-live-with-the-virus-166404).
In Italia, un report dell’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha denunciato un aumento di 4 volte dei ricoveri al di sotto dei 15 anni nell’ultimo periodo, testimone dell’alta circolazione virale e di una maggiore aggressività di questa variante anche nelle fasce di età più giovani.
Proprio dal Bambino Gesù arriva l’appello a vaccinare anche i bambini: una volta messa in sicurezza la popolazione più anziana, è giusto che anche i le fasce di età giovanissime possano essere messe al riparo dalle conseguenze più gravi della malattia, soprattutto i soggetti fragili che pure tra i bambini non mancano: i piccoli malati oncologici, gli immunodepressi, i cardiopatici. In buona sostanza, i bambini non devono essere considerati cittadini di serie B e il vaccino dovrebbe essere un diritto anche per loro. Questo semplice concetto si scontra con la paura – oramai consolidata in alcuni genitori – dei vaccini in generale. Uno studio tedesco ha evidenziato come solo il 50% dei genitori sia favorevole alla vaccinazione dei figli contro il Covid-19 (https://link.springer.com/article/10.1007%2Fs00431-021-04094-z). È chiaro che ciò apre il fianco all’insorgenza di potenziali focolai non solo in famiglia ma anche a scuola.
Da quanto detto finora, la vaccinazione nei bambini, una volta acquisiti i dati di efficacia e sicurezza per questa fascia di età e dopo l’approvazione da parte delle agenzie che vigilano sui farmaci, sembra oltremodo ragionevole da un punto di vista scientifico: i bambini possono, infatti, rappresentare una fonte di contagio, soprattutto, intrafamiliare ed intrascolastico, piuttosto consistente e, soprattutto, un’opportunità per il virus di mutare ancora. Quanto la vaccinazione pediatrica sia procrastinabile in favore della vaccinazione della popolazione adulta nei Paesi che hanno scarso accesso ai vaccini è questione politica e si scontra anche con la copertura brevettuale dei vaccini approvati dall’FDA e dall’EMA che non sono disponibili per i Paesi a basso reddito.