Diritti e Doveri

Violazione dell’obbligo ECM
Tra Tribunale e Ordine dei medici

12 Novembre 2021


Di Marianna Rillo, ufficio legale Club Medici.

Tutti gli iscritti all’Albo dei medici e a quello degli odontoiatri sono assoggettati alla potestà disciplinare delle rispettive Commissioni ordinistiche.

Art. 3 del D.Lgs.C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233[1] attribuisce al Consiglio Direttivo di ciascun Ordine l’esercizio del potere disciplinare nei confronti dei propri iscritti.

NB. L’art. 6 della Legge 24 luglio 1985, n. 409 che ha istituito la professione di odontoiatra ha, però, profondamente modificato il quadro normativo, attribuendo, disgiuntamente, la competenza disciplinare alla Commissione per gli Iscritti all’Albo dei medici chirurghi e alla Commissione per gli Iscritti all’albo degli odontoiatri.

La legge professionale prevede che il medico possa essere giudicato disciplinarmente dall’Ordine di appartenenza per ogni abuso o mancanza nell’esercizio della propria attività e in tutti quei casi in cui il professionista abbia posto in essere una condotta disdicevole al decoro della categoria. Si tratta di una formulazione ampia e generale, che risale alla legge istitutiva dell’Ordine del 1910, per cui anche comportamenti non contemplati dal Codice possano essere oggetto di giudizio disciplinare e quindi di sanzione da parte dell’Ordine, che addirittura può trovarsi a giudicare fatti commessi al di fuori dell’esercizio della professione.
Per esempio, un medico che risulta evasore fiscale o che commette violenze o furti cagiona un danno morale e un discredito all’intera categoria medica, per cui l’Ordine ha tutto il diritto di agire disciplinarmente nei suoi confronti.

In tal senso occorre precisare che il potere disciplinare dell’Ordine, non esclude però il potere del giudice, sia penale che civile, nel senso che i medici sono tenuti a rispondere delle loro azioni anche davanti alla Magistratura. Il che significa che per uno stesso fatto il medico può essere chiamato a risponderne davanti a più organi giudicanti. In primo luogo davanti all’Ordine, per l’eventuale mancanza deontologica commessa, e nell’ipotesi in cui causi lesioni ad un paziente nell’esercizio della sua professione, davanti al giudice penale per il reato di lesioni personali, e davanti al giudice civile per il risarcimento del danno causato.
A questo si aggiunge che, se il medico esercita nell’ambito del Servizio Sanitario Nazionale si troverà a doversi giustificare anche davanti alla Corte dei Conti, per l’eventuale danno causato all’erario e anche davanti all’Azienda Sanitaria o Ospedaliera di appartenenza, che in qualità di datore di lavoro ha sempre un potere disciplinare nei confronti dei propri lavoratori.

L’Ordine non può e non deve sostituirsi alla Magistratura, per cui se un paziente presenta un esposto lamentando un ipotetico errore professionale, egli non ha la possibilità di stabilire se un errore medico sussiste realmente oppure no, perché questo accertamento spetta al giudice. Il classico caso di “errore medico”, può essere accertato solo ed esclusivamente in Tribunale, in quanto presuppone una valutazione peritale di carattere medico-legale, tipica dei procedimenti giudiziari. Solo al termine di questo procedimento, se il medico viene condannato (e quindi solo nel caso di accertato errore medico), l’Ordine può esprimere una propria valutazione sul caso, tramite la celebrazione di un procedimento disciplinare, fermo restando che tale valutazione sarà svolta esclusivamente sul piano della deontologia professionale, in piena autonomia.
Il giudizio del giudice penale però, rispetto a quello degli altri organi giudicanti, ha una sua intrinseca prevalenza nel caso in cui si arrivi all’assoluzione piena. Nel senso che, se al termine del procedimento penale, il medico viene assolto perché il fatto non sussiste o perché egli non l’ha commesso, tale esito assolutorio impedisce agli altri organi giudicanti di sottoporre il medico ad un ulteriore giudizio per la stessa condotta. Se invece il medico viene condannato, gli altri organi hanno l’obbligo di esercitare il loro potere. Anche in caso di patteggiamento, tale soluzione giudiziaria non impedisce affatto all’Ordine di sottoporre il professionista a procedimento disciplinare. Così come avviene anche se il fatto per cui si procede cade in prescrizione o in caso di amnistia, indulto o remissione di querela. In tutti questi casi l’Ordine di appartenenza conserva intatto il suo potere disciplinare dal momento in cui il professionista non è stato assolto con formula piena.
Se ne deriva che, nel caso di procedimento penale in corso l’Ordine per poter intervenire deve attenderne l’esito, perché se il procedimento penale si conclude con l’assoluzione piena non può agire disciplinarmente nei confronti del medico. Nell’attesa quindi viene aperto un fascicolo disciplinare, salvo poi tenerlo sospeso fino all’esito definitivo del procedimento penale e solo se questo si conclude con una formula diversa dall’assoluzione piena, l’Ordine riassume il caso e celebra il suo giudizio.
Quindi, se è vero che in caso di assoluzione piena in Tribunale il medico sarà “assolto” anche per l’Ordine, non possiamo dire lo stesso nel caso di condanna. In questo caso l’equazione non vale, perché la condanna in sede penale non conduce necessariamente alla condanna anche davanti l’Ordine, perché il suo esame non riguarda gli aspetti giuridici della vicenda, penalmente rilevanti, ma esclusivamente gli aspetti etici e deontologici del comportamento del medico.
Nel senso che se il medico ha subito una condanna penale, l’Ordine non può mettere in dubbio che il fatto sia davvero accaduto perché ciò è stato già accertato dal giudice, in sede penale, e non si può continuare ad indagare sui fatti, ma in quanto organo dotato di piena autonomia e libertà di giudizio nel giudicare il fatto rilevante o meno dal punto di vista deontologico, potrà giudicare a prescindere dalla condanna avvenuta in Tribunale.
Per rendere meglio l’idea, potrebbe accadere che il medico venga condannato in sede penale per lesioni personali, ma l’Ordine potrebbe prosciogliere il professionista, ritenendo che abbia fatto tutto quello che eticamente e deontologicamente era tenuto a fare nel caso concreto.

Il tutto porta a concludere che lo stesso episodio giudicato negativamente dal giudice penale, possa non essere giudicato allo stesso modo dall’Ordine. Ed è possibile anche l’ipotesi per cui, ad esempio, in caso di estinzione del procedimento penale per prescrizione o remissione di querela potrebbe ugualmente aversi una decisione sanzionatoria da parte dell’Ordine. Tutto dipende da come quest’ultimo giudica il comportamento del medico, dal punto di vista della deontologia professionale.
L’Ordine inoltre ha un termine massimo di 5 anni per procedere disciplinarmente contro il medico. Nel caso in cui sia pendente un procedimento penale sullo stesso fatto, i termini decorrono dal passaggio in giudicato (ossia dall’irrevocabilità) della sentenza penale. Se invece sull’episodio non è stato aperto alcun procedimento penale, i 5 anni decorrono dalla commissione del fatto.

Inoltre nel caso in cui il professionista venga convocato dall’Ordine a presentarsi davanti alla Commissione, può farsi assistere da un legale di sua fiducia a garanzia del suo diritto di difesa. Tuttavia è ammessa l’assistenza ma non la rappresentanza, nel senso che l’avvocato non può sostituire il professionista convocato, ma può solo affiancarlo. Questo perché il procedimento disciplinare dell’Ordine è un procedimento “fra pari” nel senso che deve riguardare gli aspetti deontologici ed etici della professione medica, patrimonio sia dei medici giudicanti che del medico sottoposto a procedimento, per i quali il solo avvocato non può essere sufficiente.

Infine, un esempio di violazione del Codice deontologico dei medici[2] che da luogo ad una situazione per cui per un unico fatto il medico si trova a dover subire diversi giudizi, è sicuramente il mancato assolvimento dell’obbligo ECM.

La violazione da parte del medico dell’obbligo di adeguata formazione e aggiornamento, può andare a ledere il dovere di dare corrette informazioni al paziente, compromettendo il diritto dello stesso ad un consenso informato. Per cui il medico oltre ad essere sanzionato dall’Ordine di appartenenza per la violazione commessa così come stabilito dalla legge (con avvertimento, censura, sospensione, radiazione dall’Albo), nel caso in cui un medico cagioni un danno ad un paziente, l’eventuale irregolarità ECM potrebbe incidere in termini di quantificazione della colpa professionale, col rischio di dover risarcire il danno e quindi subire tanto un procedimento civile quanto uno penale per ciò che invece attiene al reato delle lesioni personali.
Ai sensi dell’art. 582 del Codice Penale chiunque cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale deriva una malattia nel copro o nella mente, è punito con la reclusione da 6 mesi a 3 anni, e in caso di circostanze aggravanti art. 583, se la lesione personale è grave si applica la reclusione da 3 a 7 anni.

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[1] D.Lgs.C.P.S. del 13 settembre 1946, n. 233, (art. 3, lett. f).
[2] Codice deontologico dei medici, art.19