Storie

Il mare dentro
di ANACLETO REALDON

Una distesa d’acqua per qualcuno è un’interruzione di terra e quindi un ostacolo da superare, per qualcun altro un mezzo di trasporto, un mezzo per navigare, per divertirsi, per vivere.
Il mare può dividere la terra, le terre, le popolazioni e gli stati, ma può unirli. 
Ci siamo mai chiesti perché una incontenibile moltitudine di persone continua a scegliere il mare per sfuggire da una terra martoriata e per cercarne una promessa?
La vista di una distesa d’acqua sul mare per qualcuno ingenera angoscia, per qualcun altro la distesa sconfinata del mare è l’immagine visiva dell’infinito, un mistero da conoscere e svelare.
Il marinaio di un tempo era, per antonomasia, il ricercatore ed il conquistatore di terre sconosciute.
Il marinaio dei tempi moderni affronta il mare per confrontarsi con sé stesso e con gli altri in agonismi ed antagonismi non sempre sportivi.

Andando per mare per diporto vengo a conoscere spesso anche persone che vivono in mare e per il mare, sviluppando una dimensione del vivere che noi definiremmo primitiva. Si tratta sempre e solo di velisti, ovviamente. Chi va in barca a motore per mare è troppo lontano dal pensare di vivere il mare in questa dimensione. C’è gente cha lascia tutto, abbandona i beni terreni e parte per il giro del mondo a vela o semplicemente per vivere in barca anche senza grandi progetti di navigazione.
Nell’antichità il vivere sul mare, su delle palafitte per esempio, era anche solo un modo per sfuggire ad un pericolo che veniva da terra. Farsi circondare dall’acqua o dal mare un tempo poteva essere una necessità per sopravvivere o per difendersi da aggressioni e pericoli terrestri.

Ora intendo invece il mare come una scelta di vita e di sopravvivenza interiore di chi sente il mare dentro, sente di viverlo, meglio riviverlo, in una dimensione globale, forse anche primitiva nel senso di un ritorno alle origini. Noi proveniamo dal mare, la vita dei viventi è nata nel mare. Il ritorno al mare è un richiamo atavico ed irresistibile cui qualcuno si sente di rispondere in purezza di spirito.
Ma, al di là di ogni vetero-romanticismo, è chiaro che chi sceglie di vivere in mare si vota ad una vita di stenti, d’ imprevisti ed anche di pericoli che forse noi terricoli siamo stati educati a sfuggire.  
Il marinaio che ha il mare nel sangue è anche oggi una specie di vagabondo post sessantottino, diviso tra la perenne ricerca di un porto sicuro e l’irresistibile impulso a confrontarsi con un mare in tempesta.

(Da “Il pensionauta folle”)