Covid

Una storia amara di violenza verbale

18 Settembre 2024

di Gian Piero Sbaraglia

La spinta a mettere per iscritto un’esperienza amara capitata allo scrivente qualche settimana fa, mentre si era recato a far visita ad un parente già operato di tumore al pancreas e ancora ricoverato in convalescenza in una clinica romana, è scaturita dalla lettura di un articolo pubblicato il 4 marzo 2024 sulla Newsletter dell’OMCeO di Roma a cura dell’Associazione CIPOMO (Collegio Italiano Primari Oncologi Medici Ospedalieri) e dal titolo “IN ITALIA POCA UMANIZZAZIONE CURE E FORMAZIONE”. Ed è proprio l’inizio dell’articolo citato a dare subito il “là” alla stesura della nostra storia:Nel nostro Paese i medici e gli infermieri vengono formati poco o nulla all’umanizzazione delle cure…”.

Delle varie “performance” dei sanitari, specie quelli dipendenti di ospedali o cliniche, ci eravamo già occupati qualche anno fa con due contributi proprio da questa sede e precisamente il 7/4/2022 ed il 19/1/2023, perchéspronati dalle frequenti aggressioni sia fisiche che verbali rivolte al personale sanitario da persone o deluse dai comportamenti degli addetti ai lavori o magari stanchi delle attese per una prestazione sanitaria, con l’aggiunta di facili commenti o risposte degli stessi operatori sanitari, non certamente in linea con il buon senso o con la delicatezza delle circostanze. L’articolo riportato dalle Newsletter, di cui sopra, fa il paio con quanto capitato allo scrivente, proprio recentemente. Eccone i fatti:

Un nostro caro parente, già sofferente da decenni di diabete, venne trovato portatore di una massa tumorale addominale che, attraverso indagini espletati in una clinica, si rivelò essere un tumore del pancreas, peraltro assai voluminoso, da coinvolgere anche le vie biliari e lo stesso fegato. L’intervento, salvo qualche piccola complicanza legata all’innesto di alcuni stents, pare fosse andato bene, ma il paziente per motivi di terapie antiblastiche e anche a causa di uno stato di particolare astenia, è stato trattenuto in regime di ricovero per meglio essere assistito. Ricordiamo di nuovo che il paziente è un diabetico fin dalla giovinezza. Ecco allora, qualche giorno fa, la decisione di andarlo a trovare. Oltretutto il paziente soffriva di una labirintite, complicanza assai frequente in soggetti diabetici come lui.

Entrammo in clinica e a dire il vero, sia dinanzi alla scritta “ascensore”, sia nella vetrata del portiere, non c’era nessun cartello con particolari raccomandazioni, come di solito si nota nelle hall di questi luoghi, nemmeno la scritta che consigliava di indossare la mascherina; né lo stesso portiere, pur vedendoci entrare privi di mascherina, e pur salutandoci, ci ha raccomandato di mettere la mascherina prima di entrare nella stanza del paziente. Quindi salimmo al piano dove era il nostro parente e, usciti dall’ascensore, spontaneamente indossammo la mascherina, come da precauzione post – Covid in ambienti sanitari.

Attraversammo il corridoio che portava diritto alla stanza del nostro parente, e appena entrati nella sua stanza, ci furono subito affettuosi saluti accompagnati da parole di cortesia, ma soprattutto domande su come si sentisse da quando stava facendo la terapia antiblastica. Diciamo subito che dopo poco che eravamo entrati nella stanza lo stesso paziente ci invitò a togliere la mascherina, non foss’altro per meglio parlare, e poi perché fino a quel momento, ci disse, né nella sua stanza, né nelle altre degenze, si era mai verificata criticità alcuna. E così facemmo.

Il dialogo verteva su come stessero andando le cose con la terapia attuale, se cominciassero ad avere i primi segni di ripresa e se si fossero ripetuti esami di controllo. Le sue risposte tendevano al positivo, nonostante la evidente immagine di uomo sofferente, aggravata dall’obiettivo dimagramento.

Mentre si parlava del più e del meno, ecco entrare nella stanza, che per altro aveva la porta solo accostata, un vecchio amico, anche lui senza mascherina. Ci salutò calorosamente, mentre la porta rimaneva semiaperta. Ma non passò nemmeno un secondo che la porta si spalancò, lasciando entrare un sanitario con passo deciso e veloce che indossava tutto compito una mascherina, che – non è esagerato dire – gli copriva parte degli occhi e che ci si avvicinò gesticolando e con voce alta, rimproverandoci perché avremmo dovuto indossare la mascherina “Per rispetto del malato” altrimenti “questa è la porta!”.

Dopo essermi presentato al sanitario in qualità di medico e vecchio primario ospedaliero, lui – per nulla sorpreso o intimidito – con fare maleducato e con piglio minaccioso ha proseguito ad inveire: “Mettete la mascherina o vi mando via!”. Poi ci ha voltato di colpo le spalle, allontanandosi, lasciandoci “come salami”, ma con una amarezza unica soprattutto per le parole rivolte al nostro parente malato “Se continua così…questa è la porta!”.

Nella stanza è seguito un momento di grave di silenzio, mentre i nostri sguardi si sono incrociati super meravigliati. Per un istante nessuno ha proferito parola poi, volendo toglierci dall’improvviso imbarazzo, il nostro parente ha provato a rasserenarci col dire che non era la prima volta che quel sanitario si comportava in quella maniera per via della mascherina non indossata e non solo per quel motivo; si era ad esempio alterato anche avendo sentito altre persone parlare, secondo lui, a voce eccessivamente alta.

“Lo conoscono tutti qui, però non c’è nessuno che ha il coraggio di riprenderlo o rimuoverlo; certo non fa fare bella figura alla clinica”.

A questo punto ogni riflessione è ovvia e ognuno può trarre le proprie conclusioni, ma soprattutto mi preme sottolineare quanto sia amaro constatare il comportamento di certi individui, quando mai si dovrebbe giustificare la violenza fisica. Per questo invito a riflettere tutti quei dipendenti pubblici, che si trovassero ad essere a contatto con il pubblico e compresi i sanitari, a tenere sempre presente nella loro mente che durante il loro lavoro non va mai dimenticato il savoir faire o, per meglio dire, l’educazione ed il buon senso.

Qui habet aures audiendi, audiat!
DR. GIAN PIERO SBARAGLIA
MEDICO CHIRURGO

Spec. In Otorinolaringoiatria
già Primario Otorinolaringoiatra,
C.T.U. del Tribunale Civ. e Pen. di Roma
Direttore Sanitario e Scientifico Centro di Formazione
BLSD-PBLSD – Accreditato ARES 118-Lazio e IRC- Misericordia di Roma Centro – ROMA.