Storie

“Come un pesce rosso”: storia di un medico diventato paziente
di MICHELANGELO BARTOLO

21 Maggio 2021

Da “medico” in prima linea nella lotta al virus a “contagiato” in isolamento e poi ricoverato. Il Dottor Michelangelo Bartolo, Responsabile del Servizio di telemedicina presso l’Azienda Ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma, racconta in un libro la sua doppia esperienza con il COVID-19.

“Come un pesce rosso” è il titolo del libro che lei ha scritto per raccontare la prima e la seconda ondata di pandemia. Cosa le è rimasto di quei mesi, considerando che lei è stato prima chiamato a combattere il virus e poi si è ritrovato a sua volta contagiato?

Ho da sempre una grande passione per la scrittura, non è il primo libro che scrivo. In questo caso l’idea è nata quando sono arrivato al Covid Hotel, dove vanno i pazienti dimessi dall’ospedale ma ancora positivi, perché avevo moltissimo tempo a disposizione. Sono stato 15 giorni in questo posto e proprio lì ho iniziato a ripercorrere e a scrivere tutto quello che mi era successo: nel giro di un mese e mezzo ho vissuto l’esperienza di medico trasferito in reparto Covid, sentendomi come un soldato che combatte in emergenza e che ha dovuto temporaneamente mettere da parte la telemedicina per scendere in trincea; affrontavo situazioni cliniche completamente nuove per me. Non sapevo quasi nulla di respiratori o dosaggio dell’ossigeno. Dovevo affrontare una malattia della quale si sapeva pochissimo. Di quel periodo racconto non solo la sofferenza, ma anche le goffaggini, le paure e le difficoltà di noi medici nel gestire una situazione per la quale ci sentivamo inadeguati. Probabilmente lo eravamo tutti, persino il primario o gli infermieri, e ci davamo sicurezza l’uno con l’altro. Ogni giorno moriva qualcuno dunque il supporto dei colleghi e tra colleghi è stato importantissimo. Nel libro paragono la prima riunione del reparto Covid a quella famosa scena del film di Roberto Benigni – “La vita è bella” – dove le SS spiegano come comportarsi in un campo di concentramento: fondamentalmente anche noi non capivamo quasi niente!

Poi improvvisamente si è ritrovato anche lei contagiato. Come è stato vivere direttamente la malattia?

Inizialmente mi è venuta la tosse, poi un po’ di febbre ed infine mi sono ritrovato positivo. Ho abbandonato il reparto ed è iniziata l’esperienza di malato Covid a casa. Anche di quel periodo racconto tante contraddizioni, sono ad esempio molto critico sull’App Immuni: ero un fautore assoluto e dicevo a tutti di scaricarla, ma ho constatato personalmente il fallimento di questa applicazione, di un sistema di tracciamento inadeguato e delle centinaia di vite che non sono state salvate perché non ha funzionato. Stavo male, volevo segnalare la mia positività all’App, ma non ci sono riuscito. Faccio telemedicina, ho scritto ai maggiori esperti di telemedicina ed ognuno mi dava un consiglio diverso. Allora mi domando: se non ci sono riuscito io, come fa un cittadino normale ad orientarsi? Viene affidato tutto alla tecnologia, ma manca una figura umana di supporto! Nel libro ho inserito anche una serie di accorgimenti e di consigli per la convivenza in casa con il resto della famiglia. Poi purtroppo sono peggiorato: questa malattia è veramente subdola, il quadro clinico può cambiare in appena 24 ore. Sono andato in ospedale nel periodo della seconda ondata e sono rimasto quasi 12 ore in fila in automobile perché non c’erano letti liberi. Infine mi hanno ricoverato.

Quali sono state le maggiori difficoltà di quelle settimane?

La prima problematica è non si capisce chi entra in camera: gli operatori sanitari sono tutti uguali, avvolti in quelle tute bianche enormi, quindi c’è uno stato di confusione assurdo. Vorrei inoltre sottolineare il problema degli anziani, che sono soli, che hanno paura, e sono costretti a stare a letto. Mi sono fermato un gradino prima del casco, per fortuna, ma nei primi tre giorni di ricovero tendevo a peggiorare quindi è stato un momento molto duro. In “Come un pesce rosso” paragono la battaglia contro il virus, soprattutto durante la prima e la seconda ondata, ad una partita di pallone: noi eravamo dei giocatori di difesa, dove per “difesa” intendo che avevamo a disposizione soltanto ossigeno, eparina e cortisone. Bisognava arrivare ai 90 minuti senza prendere gol, resistere e superare quei 15-20 giorni di malattia.

Lei il 1° gennaio scorso si è vaccinato. Ritiene che adesso in questa “partita” disponiamo di un’arma in più per vincere?

Con i vaccini siamo arrivati ad un punto di svolta! Nel libro faccio anche un appello agli scettici perché è davvero fondamentale vaccinarsi TUTTI quanti. Chi lavora nella sanità, ad esempio, dovrebbe avere l’obbligo tassativo di farlo. Basti pensare a questi dati: al San Giovanni di Roma, dove lavoro, si è iniziato subito a vaccinare. Prima dei vaccini avevamo 4-5 positivi al giorno di personale sanitario; ora invece ne registriamo 1 a settimana: il futuro è il vaccino, di qualsiasi tipo esso sia. Ce ne sono alcuni che stanno prendendo il sopravvento, mentre di altri si stanno iniziando a comprendere i possibili effetti collaterali. Non dobbiamo dimenticare che sono i primi vaccini a mRNA e stanno funzionando! Nel libro parlo delle fake news, che purtroppo sono ancora tante: tra gli scettici dei vaccini circolano delle convinzioni assurde.

Quando, a suo avviso, saremo completamente fuori da questo incubo?

Dobbiamo avere uno sguardo globale rispetto alla malattia. Pensiamo ai tanti problemi causati dalle varianti, soprattutto nei Paesi poveri come Africa o India. Pensiamo alle difficoltà di vaccinare la popolazione nei paesi negazionisti. Questo è un virus globale, che deve essere combattuto a livello globale. Il problema principale è convincere tutti a vaccinarsi. Siamo ancora lontani statisticamente dall’immunità di gregge. Nel mio libro paragono il Covid alla peste di Alessandro Manzoni, ma oggi sappiamo molto di più, possiamo combattere meglio la malattia, anche se purtroppo paghiamo lo scotto di moltissime vittime.