Storie

La bambina di Capoverde, i ricordi di un medico volontario
di ANACLETO REALDON

Una bambina, quella bambina di Capoverde, ha rappresentato forse la ricompensa migliore della mia professione di medico. Per una quindicina d’anni, per un mese all’anno, ho fatto il medico volontario in un ospedale gestito dai Padri Cappuccini in un’isola sperduta di Capoverde (Isola di Fogo).
Dopo essere stati dallo sciamano del paese, vi venivano portati spesso degli “indemoniati”, così almeno venivano considerati. Ma affinché fossero i Frati Cappuccini ad intervenire, in quanto esorcisti, piuttosto che i medici. Ed è così che il Padre Cappuccino di turno accompagnò nel mio ambulatorio, quel giorno, quella bambina “posseduta dal demonio”. In questo ambito ospedal-religioso le mie specialità di psichiatria e neurologia erano considerate molto affini alla loro attività di medici dell’anima.

Non potevo dar torto alla credenza popolare: la bambina era in uno stato pietoso e spaventoso. Si
presentava con un’agitazione incontenibile in un corpo sformato e sfigurato, da gettare nel timor panico e nel sacro terrore chiunque. Ho dovuto subito sconsacrare e banalizzare la situazione: la bambina era semplicemente affetta da uno Stato di male epilettico consistente in crisi epilettiche subentranti ed ingravescenti. Solo io potevo prendermene cura con i miei farmaci. Lo feci con immediato beneficio sul suo comportamento. Programmavo una terapia protratta nel tempo. Per questa bambina avrei spedito a Capoverde, una volta tornato in Italia, dei farmaci specifici e più efficaci.

L’avrei rivista dopo due mesi di terapia. Per venire al programmato controllo medico, dovevano sobbarcarsi un viaggio che durava giorni. Provenivano da un’altra isola e, non potendosi permettere un viaggio in aereo, dovevano affrontare lunghi e faticosi viaggi via mare. L’incontro avvenuto appunto due mesi dopo con questa bambina (di 6 anni circa) mi ha lasciato un segno indelebile, per il resto dei miei giorni. Forse il momento in assoluto di maggior gratificazione professionale ed umana avuto in quarant’anni di esercizio. La scena: lungo il corridoio dell’ospedale vidi in lontananza una bambina divincolarsi dai genitori e correre verso di me. Ho stentato a riconoscerla, ho riconosciuto prima i suoi genitori. Raggiuntomi, senza esitare, mi salta addosso abbracciandomi stretto. Preso alla sprovvista, risposi incredulo all’abbraccio. Era diventata una splendida bambina, una bambina normale, piena d’affetto e riconoscenza. Trattenni a stendo l’emozione…per dignità. L’avessi incontrata da sola per strada non l’avrei riconosciuta.

Nei momenti più neri della mia vita professionale e non, il ricordo di questo incontro ha sempre un
effetto miracoloso. Mi risana da ogni ferita.