Diritti e Doveri

Legge bavaglio
Rischio di censura ai medici?

3 Novembre 2021

Di Marianna Rillo, ufficio legale Club Medici.

Si torna a parlare di legge bavaglio, ma questa volta la bocca che si vorrebbe chiudere è quella dei medici.
Con l’accoglimento da parte del Governo dell’ordine del giorno del deputato Giorgio Trizzino[1], si sta sollevando un polverone. L’ordine del giorno in questione nasce dall’inarrestabile fenomeno al quale stiamo assistendo dall’avvento dell’attuale crisi pandemica, per cui tutti gli esperti, medici e virologi impegnati in prima linea nella lotta contro il virus Covid-19, hanno iniziato a rilasciare interviste, dichiarazioni pubbliche, commentando e manifestando giudizi personali.
L’obiettivo degli esperti è informare i cittadini e offrire spunti di riflessione, ma alcune di queste testimonianze, a volte, non sono state offerte su questioni che potremmo definire propriamente scientifiche; esse, piuttosto, è sembrato veicolassero valutazioni esorbitanti da profili squisitamente tecnici, a tal punto da risultare finanche sgradite alle direzioni di alcune strutte ospedaliere perché valutate in conflitto con le strategie aziendali.
L’ordine del giorno del deputato Trizzino chiede al Governo di intervenire affinché i cosiddetti divulgatori scientifici non contribuiscano a diffondere “comportamenti non corretti ovvero pericolosi”. Quello che è stato ribattezzato “bavaglio” ha quindi l’obiettivo di evitare quelle “dichiarazioni che possano andare a detrimento del prestigio e dell’immagine della struttura sanitaria”. Nobile proposito, se non fosse che esso pare trascinare con se il rischio di una pericolosa deriva verso la censura.

A tal riguardo è utile ricordare quanto accadde a Massimo Galli[2], che entrò in conflitto con la sua struttura sanitaria quando rivelò che il suo reparto era invaso dalle varianti. L’ospedale smentì il suo primario, ma poche settimane dopo le terapie intensive di tutta Italia furono invase e la realtà gli diede tristemente ragione. Anche Roberto Burioni[3] il 10 novembre 2020 denunciò la situazione insostenibile del pronto soccorso del San Raffaele di Milano, e anche in questo caso la direzione sanitaria intervenne pubblicamente per smentire, ma pochi giorni dopo l’Italia toccò il picco di mortalità dall’inizio della pandemia.
Se l’idea del “bavaglio medico” si trasformasse in una norma, ai medici dipendenti delle strutture sanitarie sarebbe impedito di rilasciare dichiarazioni, se non previa autorizzazione da parte dell’ASL e dei propri ospedali, al fine di evitare di diffondere notizie o informazioni lesive per il Sistema Sanitario Nazionale e di conseguenza per la salute dei cittadini. Ma un conto è limitare la spettacolarizzazione degli aspetti scientifici, spesso “trattati come news”, come ammette Fabrizio Pregliasco[4], altro è censurare i medici. C’è chi, come quest’ultimo, ritiene che più di un intervento in termini di autorizzazione da parte delle aziende sanitarie di appartenenza, sarebbe necessario specificare le modalità di divulgazione delle notizie scientifiche da parte di questi professionisti.

La legge bavaglio così come in principio immaginata nel disegno di legge presentato nell’ormai lontano 2008, traeva origine dalla necessità di tutelare la privacy dei cittadini italiani alla luce del fenomeno che troppo spesso vede le intercettazioni utilizzate dai media. Da qui l’interesse e la necessità di riformare il sistema. Uno degli obiettivi della riforma era appunto quello di evitare che persone coinvolte in modo occasionale nelle conversazioni potessero vedere violata la propria privacy, sebbene non avessero nulla a che fare con i reati che si perseguivano. In passato non sono mancati casi in cui tali conversazioni venivano rese note, magari perché riguardavano personaggi pubblici o conosciuti al pubblico. Il proposito della riforma era proprio quello di non alimentare pettegolezzi, che rischiavano di distruggere o pregiudicare la reputazione di coloro che non erano sottoposti ad attività di indagine. A ben pensare, questo è un po’ quello che stiamo vivendo oggi, in un delicato momento storico in cui si vuole tutelare le strutture sanitarie che spesso vedono leso il proprio prestigio dalle dichiarazioni dei medici.

Quanto alla riforma sulle intercettazioni, non sono mancate, sin da subito, le opinioni di coloro che sostenevano che la legge bavaglio non avesse nulla a che fare con la tutela della riservatezza personale; fermi sostenitori del fatto che la legge in questione avesse come unico obiettivo quello di limitare pesantemente la libertà di informazione a tutela degli interessi di alcuni. Questi stessi sostenevano l’importanza delle attività di intercettazione non solo ai fini investigativi, ma anche per l’opinione pubblica, alla quale dovere sempre dare la possibilità di conoscere altri aspetti delle figure pubbliche che ricoprono cariche che incidono sulle nostre vite, per conoscere fatti che potrebbero essere utili anche se non costituiscono reati.

Quindi se da un lato c’era chi difendeva l’esercizio legittimo del dovere di cronaca, dall’altro si sottolineava con forza come l’obiettivo della riforma fosse tutelare i privati. Cosi si è arrivati a parlare di bavaglio sull’informazione e sulla possibilità degli organi di informazione di far conoscere ai cittadini fatti rilevanti.

Ebbene, sembra che la storia si ripeta. I presupposti del bavaglio oggi sono diversi, ma molti ritengono che il fine ultimo sia lo stesso: limitare il flusso di informazioni, che nel caso specifico si traduce, però, nella censura ai medici.

In ciò, invero, potrebbero rintracciare anche ragioni di contrasto con norme costituzionali e internazionali.
A livello costituzionale, ad esempio, potrebbe dedursi la violazione dell’art. 1 Cost., che garantisce l’esercizio della sovranità popolare, la quale, come affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 16236 del 2010, può essere esercitata solo nel momento in cui il popolo sia correttamente e compiutamente informato. Parimenti, sembrerebbe possibile lamentare pure il contrasto con l’art. 21 Cost. che sancisce la libertà di manifestazione del pensiero, nel suo duplice aspetto di diritto ad essere informati e libertà di esprimere le proprie opinioni.

A livello internazionale, invece, la raccomandazione del Parlamento europeo del 27 marzo 2009, per citare solo una delle miriadi fonti, ha invitato gli Stati membri a garantire che la libertà di espressione non sia soggetta “a restrizioni arbitrarie da parte della sfera pubblica e/o privata e ad evitare tutte le misure, legislative o amministrative, con effetto dissuasivo sulla libertà di espressione; ad essere sancita, in altri termini, è la regola della intangibilitàla libertà di opinione e di espressione, che trova significativo riconoscimento anche nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo[5], e che si esplica pure con l’affermazione del diritto a diffondere informazioni e ad esprimere rispetto ad esse liberamente la propria opinione, con qualunque mezzo e senza alcuna molestia.

In questo senso, pare utile evidenziare anche la sentenza del 7 giugno 2007, con cui il Tribunale di Strasburgo ha stabilito che il diritto della stampa di informare su indagini in corso e il diritto dei cittadini di ricevere notizie su inchieste importanti, prevalgono sulle esigenze di segretezza. A conferma è intervenuta anche la CEDU[6], che con la sentenza del 10 febbraio 2009, ha sancito che la libertà di stampa prevale sulla privacy, la cui tutela è spesso invocata a giustificazione della legge bavaglio, considerata da alcuni normativa liberticida, così come avviene oggi per la proposta di Trizzino.

In un sistema democratico l’importanza di una notizia rende lecita la sua pubblicazione anche se si tratta di notizia soggetta a segreto, ma la riforma rendeva non pubblicabili anche quegli atti non più coperti da segreto, per tutelare la privacy dei soggetti quali all’epoca gli appartenenti alla classe politica.

La CEDU ha così sostenuto che le limitazioni al diritto di cronaca sono possibili solo a condizione che tutelino un bene di pari rango costituzionale. Nel caso del disegno di legge del 2008 però non si rintracciava un reale intento a protezione della privacy, nè di protezione della formazione del corretto convincimento da parte del magistrato. Alla luce di tutte queste contraddizioni il relatore speciale dell’ONU sulla libertà di opinione e di espressione, Frank La Rue, il 13 luglio 2010 chiedeva al Governo italiano di abbandonare il disegno di legge.

Da qui, nel corso delle ultime due legislature la disciplina delle intercettazioni contenuta nel codice di procedura penale è stata al centro di un acceso dibattito parlamentare.
Per cui nel tentativo di bilanciare l’interesse alla persecuzione dei reati, il diritto di cronaca e il diritto alla privacy, dopo un lungo calvario di revisioni e modifiche, è arrivata la riforma Orlando (decreto legislativo n. 216 del 2017). La quale ha confermato il ruolo delle intercettazioni come fondamentale strumento di indagine e al contempo ha provato a creare un giusto equilibrio tra la segretezza della corrispondenza (e ogni altra forma di comunicazione) e il diritto all’informazione. Questa però ha introdotto, a tutela della privacy, un sistema macchinoso di verbalizzazione, selezione e acquisizione delle intercettazioni dalla dubbia funzionalità. Per cui la sua entrata in vigore, inizialmente prevista per il 26 luglio 2018, è stata poi soggetta a numerose proroghe. Alfonso Bonafede ha commentato così: “dobbiamo impedire il bavaglio”. Egli, infatti, ha sostenuto che la norma voluta dal suo omologo Andrea Orlando, era stata pensata con l’intento di impedire ai cittadini di ascoltare le parole dei politici indagati o che i politici pronunciano quando erano al telefono con persone indagate. Insomma, una sorta di silenziatore per le inchieste giornalistiche. Si è arrivati così nel 2019 all’adozione del decreto legge n.161, convertito dalla legge n.7 del 2020, che ha modificato ampiamente la riforma Orlando, in parte ripristinando la disciplina prevista nel codice di procedura penale, in parte apportando ulteriori innovazioni.

La riforma così come risultante dalle modifiche[7],infine, è entrata in vigore il 1° settembre 2020, come stabilito dall’articolo 1 del decreto legge n.28 del 2020, con applicazione diretta per i procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

I tratti salienti della riforma delle intercettazioni sono diversi; in estrema sintesi e solo a titolo esemplificativo possiamo menzionare:

  • il ruolo del Pubblico Ministero, fortemente valorizzato e incrementato, dovendo valutare quali intercettazioni possono definirsi rilevanti per le indagini o meno, compito prima affidato alla polizia giudiziaria. Altro ruolo potenziato è quello del difensore dell’imputato;
  • l’abrogazione delle disposizioni contenute nella “riforma Orlando” riguardo all’articolato procedimento dell’udienza di stralcio e sulla trascrizione delle intercettazioni durante la fase dibattimentale;
  • la creazione di un archivio digitale presso ogni Procura e la sorveglianza da parte del Procuratore Capo;
  • l’estensione del catalogo dei reati per i quali sono ammesse le intercettazioni;
  • l’estensione della possibilità di utilizzare le intercettazioni se rilevanti e indispensabili in procedimenti penali diversi rispetto a quelli per i quali è stata autorizzata, purché si tratti di reati per i quali è ammesso l’utilizzo di tale strumento di prova;
  • l’estensione dell’uso del c.d. “trojan horse” ad ulteriori reati contro la P.A.

Oggi si discute di bavaglio per i medici e fermo tutto quanto già detto, occorre fare in ultimo una riflessione tracciando una linea di confine tra quelle che sono le opinioni e le posizioni scientifiche personali di ogni medico e quello che invece è il comportamento che ogni iscritto all’Ordine dei medici è chiamato ad assumere secondo il proprio codice deontologico.

Ai sensi di quanto disposto dall’art. 68 del codice deontologico qualora si verifichi contrasto tra le norme deontologiche e quelle proprie dell’ente (pubblico o privato), per cui il medico presta la propria attività professionale, sarà l’Ordine ad intervenire, predisponendo il provvedimento che valuterà più opportuno in base alla fattispecie concreta.
Parlare di scienza è ben diverso dal fornire dati di gestione interna o comunque dati sensibili della propria Asl o ospedale di appartenenza.

Per cui non resta che domandarsi se e in che misura è davvero necessario silenziare i medici.


[1] Giorgio Trizzino, medico con specializzazione in Igiene e medicina preventiva, Chirurgia toracica e Chirurgia generale presso. Alle elezioni politiche del 2018 viene eletto alla Camera dei Deputati nel collegio uninominale di Palermo-Libertà, sostenuto dal Movimento 5 Stelle. Il 24 marzo 2021 annuncia la sua uscita dal Movimento.
[2] Massimo Galli, primario di malattie infettive all’ospedale Luigi Sacco e docente all’Università degli Studi di Milano.
[3] Roberto Burioni, virologo, immunologo, accademico e divulgatore scientifico italiano.
[4] Fabrizio Pregliasco, attuale Direttore Sanitario dell’IRCCS Istituto Ortopedico Galeazzi di Milano, oltre che Ricercatore Confermato in Igiene Generale ed applicata all’Università degli Studi di Milano. È inoltre Consigliere del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) e Membro del Consiglio Nazionale del Terzo Settore al Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali di Roma.
[5] Art.19 della Dichiarazione Universale dei diritti dell’uomo.
[6] Corte europea dei diritti dell’uomo
[7] Modifiche apportate dal d.l. n. 161 del 2019